[18/01/2010] News toscana
FIRENZE. Così come visto per l'agricoltura, anche gli impatti del global warming sull'utilizzo dell'energia, in Toscana, vanno analizzati in un'ottica di "bilancio", e non in direzione di una semplice conta dei danni possibili. E' infatti ovvio come, se l'incremento di temperatura causa un aumento dei consumi per la climatizzazione, dall'altra parte le più miti temperature invernali/autunnali/primaverili possono ridurre la richiesta di energia per il riscaldamento.
Secondo il rapporto Irpet "Toscana 2030", però, il contributo delle varie stagioni al riscaldamento osservato (anche) in Toscana nell'ultimo mezzo secolo è differenziato: è riportato cioè che «tale aumento è imputabile in misura preponderante alla stagione estiva (45% del totale), seguita da quella primaverile (23%), mentre inferiore è stato il contributo dell'autunno (17%) e dell'inverno (15%)». Ciò è confermato dal fatto che «l'incremento medio registrato nel periodo invernale è stato dello 0,7°C su 50 anni, mentre nel periodo estivo l'aumento medio è stato di 1,6°C».
E' ovvio, quindi, come il bilancio tra "più energia richiesta per il raffreddamento" e "meno energia richiesta per il riscaldamento" apra prospettive negative, per una regione - come la Toscana - il cui clima è influenzato dal gw in maniera maggiore verso un più disagevole aumento di calore estivo, piuttosto che verso una più favorevole (almeno dal ristretto punto di vista del fabbisogno energetico, non da altri come ad es. il turismo) mitezza del clima invernale.
A questo proposito Irpet (vedi parte superiore dell’immagine) riporta studi del 2007 che hanno stimato l'elasticità dei consumi energetici domestici per un ipotetico 1% di variazione della temperatura, per quattro diversi vettori energetici (elettricità, gas, carbone, petrolio) e nelle diverse stagioni: e ciò che emerge è che, ad esempio, «una variazione dell'1% della temperatura estiva media in un paese caldo (tra cui l'Italia) potrebbe determinare un aumento dei consumi elettrici del 23,4%; questo aumento viene spiegato dagli aumenti nell'uso dei condizionatori d'aria. Nei paesi freddi invece lo stesso aumento dovrebbe determinare una riduzione di consumo dovuta al raggiungimento di temperature più miti che indurrebbero minore uso di condizionatori».
Stime che, naturalmente, andranno implementate con altri studi, che forniscano analisi più centrate specificamente sulla Toscana (i dati citati sono per l'intero territorio italiano), oltre che più precise. Ma, nell'ottica esplicitamente "sperimentale" che caratterizza il rapporto "Toscana CO2", le stime già sembrano evidenziare che generalmente, così come per l'agricoltura e le foreste, anche per l'utilizzo delle risorse energetiche la Toscana ha nettamente più da perdere, a causa dei cambiamenti climatici, che non da guadagnare. Ciò anche perché, se la temperatura media del pianeta è sui 14° C, un aumento come quello preso ad esempio, e cioè l'1%, corrisponde solo a 0,14° C, cioè ad una minima frazione dell'effettivo riscaldamento che sta già colpendo la regione e che, con ogni probabilità, colpirà ancor più in futuro.
A questo proposito, infatti, Irpet sottolinea che globalmente in Toscana «per quanto concerne i consumi energetici si segnala un probabile aumento dato che il cambiamento climatico causerà un incremento delle temperature che si ripercuoterà principalmente nelle stagioni estive, aumentando l'escursione termica rispetto all'inverno»
E veniamo agli aspetti legati al rischio idrogeologico, anch'essi molto influenti in una regione, la Toscana, che è «tra le prime 5 regioni per estensione della superficie coinvolta: in tutto circa il 12% del totale, il 6% interessato da alluvioni e l'altro 6% da frane». Addirittura, tra tutte le province italiane, quella di Lucca (con il 31% del territorio che è a rischio) è al primo posto nella graduatoria delle aree a rischio, e «tra le prime 15 province, sono presenti anche quelle di Livorno, con il 20% della rispettiva superficie, e quella di Pistoia, con il 17%».
In generale, va detto che sull'idrogeologia è inutile fare "bilanci": gli effetti del gw sulla stabilità e sicurezza dei territori sono praticamente tutti negativi, e ovviamente, almeno per quanto riguarda gli ultimi 50 anni, si sono sommati «all'avvio di un grande sviluppo economico del paese che portò con sé un'urbanizzazione sregolata e anche un intenso ed esteso disboscamento».
I numeri, a questo proposito, sono impietosi: è citato uno studio del Cnr e dell'Adb Arno che, confermando come «negli ultimi 30 anni sia diminuita la frequenza dei giorni piovosi e aumentata l'intensità di pioggia e la frequenza dei giorni con precipitazioni intense», indica come conseguenza un «generalizzato aumento delle frane e delle piene rilevate in tutto il territorio regionale». Ed è soprattutto nelle province di Massa e Lucca che gli eventi franosi sono aumentati: i giorni con frane, infatti, sono «passati da 1-5 del decennio 1961-70 a ben 40-70 del decennio 1991-2000 (vedi parte inferiore dell’immagine). Nelle province di Arezzo e Siena le piene dei fiumi nel periodo 1961-70 erano un evento raro o assente, mentre negli anni 1991-2000 sono stati registrati da 16 a 30 giorni di piene».
In base alle stime, comunque, «le aree che in futuro saranno maggiormente colpite dagli eventi pluviometrici estremi sono quelle sud-occidentali e centrali del bacino del fiume Arno, mentre al contrario si prevede una leggera diminuzione di tali fenomeni nelle zone interne».