[24/07/2009] News toscana

Fondi anticrisi, bene "l'ossigeno" per le imprese e l'occupazione. Ma il "cibo" per la sostenibilità?

FIRENZE. Il presidente della Regione Toscana Claudio Martini ha spedito al premier una lettera in cui sollecita il governo centrale ad aiutare la Toscana ad affrontare il prossimo autunno, quando gli effetti sull'occupazione, sul credito e in generale sulla dinamicità dell'economia causati dalla crisi globale sono previsti diventare particolarmente pesanti.

Gli interventi richiesti al governo riguardano la restituzione del fondo sociale, «cioè il 50% che si prevede di tagliare e che si aggiunge al 30% (per la Toscana 18 milioni) già perso l'anno scorso», l'incremento delle risorse per gli ammortizzatori sociali, l'allentamento del patto di stabilità (che «significherebbe per la Regione poter investire i 150 milioni di euro che ha in cassa ma che oggi non può spendere e per gli locali poterne sbloccare altrettanti», per un totale di 300 milioni potenzialmente disponibili), il rifinanziamento del fondo per università e ricerca («anch'esso tagliato della metà»), oltre a soluzioni per i distretti e in generale per i settori produttivi che, in regione, sono più esposti alla crisi, come tessile, cantieristica, componentistica per auto, siderurgia.

Contestualmente Martini ha presentato le misure aggiuntive anticrisi di natura regionale: ai 200 milioni di euro già stanziati nei mesi scorsi si aggiungeranno a settembre altri 300 milioni, che saranno investiti nel sostegno alle imprese tramite lo strumento dei fondi rotativi, con cui l'ente pubblico acquisisce partecipazioni temporanee nel capitale sociale delle imprese, aumentando così la liquidità e fornendo garanzie per l'accesso al credito. Altri 60 milioni saranno destinati all'attrarre investimenti sul territorio regionale da parte di imprese non toscane, 52 saranno destinati al ripristino del fondo per le attività produttive, e 40 milioni di finanziamenti Ue - la cui scadenza era a dicembre - saranno messi a disposizione del settore agricolo già da ottobre prossimo.

Secondo le stime della Regione, ha concluso Martini, i fondi messi a disposizione dovrebbero «attivare investimenti entro l'anno per 1,5 miliardi di euro», e sono stati anche citati i finanziamenti europei potenzialmente disponibili, che attualmente ammontano a circa 3,3 miliardi di euro e che una volta investiti, secondo la Regione, «miglioreranno trasporti e strade e aiuteranno interventi su ambiente, welfare e cultura capaci di produrre nuovi posti di lavoro».

Come già detto ripetutamente, è cosa buona e giusta che l'ente pubblico muova e orienti finanziamenti per sostenere la fase di crisi: gli effetti occupazionali di una crisi economica sono gli ultimi a manifestarsi, e seguono l'evolversi della crisi con un certo ritardo. In autunno, quindi, la Toscana (così come tutte le altre realtà locali) rischia di ritrovarsi nella fase concretamente più nera della crisi proprio mentre nelle cronache globali sarà ormai (almeno speriamo) radicata la descrizione della fase di risveglio che l'economia dovrebbe vivere. E naturalmente il pubblico (sia su scala regionale sia, come auspicato da Martini, nazionale) deve fare la sua parte per sostenere l'occupazione, l'accesso al credito da parte delle imprese, e in generale per controbilanciare tutte le conseguenze sociali associate alla fase di stagnazione dell'economia attualmente in corso.

E' chiaro però che occorre vedere la ratio di questi finanziamenti: una parte di essi è naturale che venga messa in circolo "senza condizioni", proprio per dare ossigeno a imprese che rischiano seriamente la chiusura. Ma è anche naturale che un'altra parte venga iniettata nel settore privato in modo vincolato, cioè condizionando gli investimenti in settori decisi dall'autorità amministrativa: e non sembra necessario ribadire che questo condizionamento debba, a nostro parere, essere finalizzato in primo luogo all'adozione di misure per la sostenibilità, o meglio proprio a quelle misure per un «cambio di approccio in tutti i settori produttivi» che, secondo quanto dichiarato dallo stesso Martini a greenreport il 19 giugno scorso, costituisce applicazione concreta della green-economy.

Inoltre, riportando il discorso a considerazioni più generali, è da sottolineare che parte dei fondi che sono definiti come «già disponibili» era destinata all'innovazione tecnologica delle imprese stesse: «costituiamo un nuovo fondo per le imprese riorganizzando finanziamenti già esistenti ma destinandoli direttamente al sostegno della crisi» - ha dichiarato il presidente al Tg3 presentando l'iniziativa.

Anche qui il discorso è simile al precedente: in una fase come quella attuale in cui molte imprese boccheggiano, è necessario attuare anche delle misure con cui finanziamenti strutturali vengono destinati ad azioni congiunturali, cioè al "dare ossigeno" a chi boccheggia. Ma una volta che il "paziente" si è ripreso grazie all'ossigeno (leggi: le azioni congiunturali) occorre poi dargli del "cibo" per portare avanti il processo di guarigione, e questo cibo è costituito proprio dalle misure strutturali. Togliendo fondi alle iniziative strutturali si tutela (forse) il presente, ma si ipoteca il futuro, e in particolare si diminuisce la possibilità, per l'autorità pubblica, di utilizzare le risorse per l'orientamento dell'economia verso gli obiettivi posti, tra cui speriamo e crediamo che la sostenibilità continui ad avere un ruolo centrale.

Quindi, distogliere risorse dallo strutturale e riversarle sul congiunturale è cosa in sé buona e giusta in una fase come questa, ma solo fino ad un certo livello, oltre il quale la misura diventa dannosa, in primo luogo per le possibili azioni di orientamento dell'apparato produttivo verso la sostenibilità. Ciò per il semplice fatto che, se la coperta è corta, ogni euro investito in "ossigeno" è un euro in meno da investire nel "cibo".

E va considerato anche che questa fase di crisi apre prospettive di intervento pubblico nell'economia che erano impensabili solo qualche mese fa, ma che difficilmente godranno, una volta esaurita la fase attuale, dello stesso consenso in futuro, a meno di clamorosi mutamenti nel mainstream socio-economico e politico attualmente imperante che auspichiamo e attendiamo, ma che potrebbero anche non verificarsi. Ecco quindi che le opportunità  di orientare la società e l'apparato produttivo verso la sostenibilità grazie ad un cospicuo intervento pubblico sono ampie adesso, ma potrebbero non esserlo più in futuro.

Torna all'archivio