[21/01/2010] News

La Cina sgonfia la bolla immobiliare per poter cavalcare la debole ripresa mondiale che escluderà i poveri

LIVORNO. Qualche giorno fa (ed oggi ne parla anche il Corriere della Sera) scrivevamo della bolla immobiliare che si stava gonfiando in Cina e il cui possibile scoppio aveva già messo in allarme il governo comunista, che temeva un'infezione di tipo statunitense in un mercato interno e delle esportazioni che sta riprendendo la sua corsa forsennata a due cifre praticamente in tutti i settori, mentre oggi la Banca mondiale ha annunciato che nel resto del mondo l'economia dovrebbe crescere molto meno nel 2010.

Ma la Cina rimane quello strano regime allo stesso tempo dirigista e turbo-capitalista e gli spiriti animali del mercato sono  debellati (fino a che ci riusciranno) spietatamente dal regime non appena disturbano la costruzione della società armoniosa del "socialismo di mercato" controllato dalle lobby del partito. Dopo il boom del 2009, a Pechino le transazione immobiliari hanno avuto una caduta vertiginosa nei primi 15 giorni dell'anno, in seguito a una serie di misure per frenare la fiammata dei prezzi che il governo ha preso.

La cura è iniziata, come quasi sempre in Cina, dalla capitale, dalla testa del dragone. L'agenzia ufficiale Xinhua, che nei giorni scorsi si era fatta  interprete dell'allarme sul settore immobiliare, riporta quanto scritto sul sito dell'Autorità per la gestione delle transazioni immobiliari di Pechino: «Le vendite dei nuovi appartamenti dal primo al 13 gennaio sono calate a 3.031 unità (-63,9%) su un mese, in rapporto alle 8.397 unità delle due prime settimane del dicembre scorso. Le vendite di alloggi di occasione sono ugualmente calate del  73,3% a 4.800 unità».

Gao Shan, vice-direttore della Comprehensive Real Estate Service Corporation, spiega che «Questo volume di transazioni relativamente basso è il risultato dell'attitudine attendista degli acquirenti, in risposta agli sforzi del governo per sgonfiare la bolla immobiliare».

Il governo comunista a dicembre era corso ai ripari con misure che prevedevano l'abbassamento dei crediti, l'aumento di offerta dei terreni pubblici, la sorveglianza sul mercato e l'abolizione delle agevolazioni fiscali sulle transazioni immobiliari.

Pechino, ammaestrato dall'esperienza Usa che ha coinvolto anche i suoi fondi sovrani e i suoi interessi nei fondi pensione, sa bene che uno smottamento sul fronte immobiliare potrebbe compromettere il difficile equilibrio che sorregge la sua corsa economica che fa da traino alla debole ripresa annunciata dalla Banca mondiale (BM): «La ripresa dell'economia mondiale in corso rallenterà alla fine dell'anno in seguito alla diminuzione dell'impatto dei programmi di rilancio - si legge nel Global Economic Prospects della BM - GEP  2010 -  Il Pil mondiale, che è calato del 2,2 % nel 2009, dovrebbe aumentare del 2,7% quest'anno e del 3,2% nel 2011.  Le prospettive di ripresa sono relativamente buone per i Paesi in via di sviluppo, con una crescita annunciata del 5,2% quest'anno e del 5,8% nel 2011, contro l'1,2% nel 2009. Il Pil dei Paesi ricchi, che è calato del 3,3% nel 2009, dovrebbe aumentare molto meno rapidamente : dell'1,8% nel 2010 e del 2,3% nel 2011. Il volume degli scambi mondiali, che ha accusato un calo spettacolare del 14,4% nel 2009, dovrebbe aumentare del 4,3% quest'anno e del 6,2% nel 2001. Benché si tratti dello scenario più probabile, queste previsioni restano molto aleatorie. Secondo l'evoluzione dell'indice di fiducia dei consumatorie delle imprese nel corso dei prossimi trimestri ed il calendario previsto per il ritiro delle misure di sostegno di bilancio e monetario, il tasso di crescita nel 2011 potrebbe variare tra il 2,5 e il 3,4%».

La bufera è ancora in corso e per il futuro si naviga a vista, ma la Cina deve raffreddare il mercato interno (che ha stimolato per superare indenne la crisi) se vuole agganciare la ripresa delle esportazioni. Nelle stanze inarrivabili del potere comunista si gioca a Monopoli a livello planetario, ed ora l'acquisto delle case e la speculazione immobiliare può anche aspettare. 

Secondo  Justin Lin, economista capo e primo vice-presidente della Banca mondiale per l'economia e lo sviluppo «Non possiamo sfortunatamente aspettarci una ripresa miracolosa dopo una crisi così grave, perché ci vorranno degli anni per ricostruire le economie e raddrizzare la situazione del lavoro. I poveri saranno duramente colpiti. I Paesi più poveri, che sono tributari delle sovvenzioni e dei finanziamenti  agevolati, potrebbero aver bisogno da 35 a 50 miliardi di dollari di risorse supplementari solo per finanziare i programmi sociali in atto prima della crisi».

Secondo la BM «In questa situazione sempre precaria, il prezzo del petrolio dovrebbe mantenersi intorno ai 76 dollari al barile di media  e il prezzo degli altri prodotti di base non dovrebbero aumentare più del 3% in media nel 2010 e 2011».

Ma secondo il rapporto, malgrado il ritorno del segno + nella crescita mondiale, ci vorranno anni per recuperare le perdite economiche. Per la Bm «Circa 64 milioni di persone in più saranno costrette in condizioni di miseria (vivendo con meno di 1,25 dollari al giorno) nel 2010 a causa della crisi. Inoltre, nel corso dei prossimi  5 o 10 anni, l'avversione accresciuta per i rischi, una regolamentazione più prudente e la necessità di adottare pratiche di prestiti meno liberali che durante il periodo di espansione che ha preceduto la crisi, si tradurranno probabilmente in una rarefazione e in un rincaro dei capitali destinati allo sviluppo».

Il principale autore del rapporto Gep2010, Andrew Burns, spiega che «L'inasprimento della congiuntura finanziaria internazionale produrrà un aumento del costo del denaro, una contrazione del credito e una riduzione degli apporti di capitali esteri per le imprese dei Paesi in via di sviluppo. Durante i  prossimi 5, 6 o 7 anni, i tassi di crescita osservati in questi Paesi rischiano quindi di essere inferiori da 0,2 a 0,7 punti percentuali a quelli che ci sarebbero se il denaro fosse rimasto così abbondante ed a buon mercato come prima della crisi».

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