[22/01/2010] News

L'economia ecologica in ordine sparso socializza il tema ma frena l'azione

LIVORNO. Non si può dire che il dibattito su un indicatore diverso dal Pil per misurare la "ricchezza" reale di un Paese, includendovi quindi elementi di sostenibilità ambientale e sociale, non stia trovando terreno fertile anche in Italia. Come non si può dire che la green economy non sia ormai il "prezzemolo" nelle discussioni su crisi e post crisi a tutti i livelli.

E come d'altra parte non si può tacere sul fatto che a livello mondiale la questione climatica è in primissimo piano e tema di summit e contro summit. E come e ancora, dopo l'annuncio di Obama di voler limitare dimensioni e attività delle banche di credito, forse non si potrà neppure più dire che non si cerchi di dare regole alla finanza per evitare futuri crack.

Tutto questo però non solo è completamente slegato da un orizzonte comune a livello planetario, ma è oltretutto portato avanti singolarmente da quello o da quell'altro Stato, per non dire politico di turno, con il fortissimo rischio di vanificare ogni velleità di programmazione. Perché questo è il punto. Crisi ecologia ed economica sono inscindibili e hanno colpito l'intero pianeta anche se con diverse conseguenze.

A criticità globale si risponde però localmente e non si trova alcun accordo che riesca a dare ad un'azione buona e giusta (come la riduzione delle emissioni) anche la cogenza e la forza necessaria per ottenere un qualunque obiettivo dirimente a livello mondiale. Anche la discussione sul Pil rischia di diventare ginnastica se la si fa soltanto dal punto di vista del benessere, questione troppo soggettiva per assurgere a indicatore condiviso a livello planetario.

Nessuno ha la soluzione in tasca ma è chiaro che la forza del Pil sta nella sua condivisione e accettazione dei suoi indicatori standardizzati e solo indicatori altrettanto misurabili - come la de carbonizzazione delle attività umane sempre che sia facilmente calcolabile potrebbe essere - possono davvero dare un senso alla discussione.

Così vale per il clima: o gli accordi sono vincolanti per tutti oppure è aria fritta; e così è anche per le regole dell'economia: o si applicano a tutte le altitudini e chi non le rispetta viene penalizzato oppure sono inefficaci. E questo al di là di quali si pensi siano le regole da imporre, tema questo troppo tecnico per essere affrontato da noi.

Il quadro è a tinte fosche e di certo il fattore Obama si pensava avesse ben altro peso. Senza voler tirare la croce addosso al neopresidente Usa, e confidando ancora molto nella sua azione frenata da un passato ancora troppo pesante e ingombrante, il suo contributo sul nuovo paradigma economico capace di fare da guida ai Paesi occidentali è rimasto solo sulla carta.

Sul clima, poi, meglio stendere un velo pietoso e non ricordare il buco nell'acqua di Copenhagen. Al momento, per dirla tutta, ci pare che le regole dell'economia più che altro le detti la Cina e il suo regime capace di fare ancora il bello e il cattivo tempo e forse addirittura in grado di gonfiare e sgonfiare le bolle di mercato a piacimento.

Paragonare però Obama agli zar come fa Zingales oggi sul Sole 24Ore - «Nella Russia zarista, nei momenti di crisi, la polizia segreta incanalava il malcontento in attacchi contro il gruppo di persone più inviso alla folla, nei famigerati pogrom. Un modo cinico e crudele di deviare la rabbia popolare verso un altro obiettivo, rafforzando il potere dello zar. La strategia di Obama non sembra molto dissimile» - ci pare non solo fuori luogo, ma assai offensivo. Anche perché è assai più demagogico difendere ora le banche dopo che per mesi le si è infamate solo perché finalmente Obama ha fatto qualcosa che, se si vuol esagerare - si potrebbe dire "di sinistra".
Inoltre restiamo convinti che un fallimento completo della sua legislatura sarebbe un guaio non solo per gli Usa, che forse troppo presto hanno dimenticato quanto in basso li ha portati Bush junior, ma per tutti, oltre al fatto che probabilmente, senza anche quel poco (o tanto) che ha fatto Obama, la situazione economica del Paese sarebbe pure peggiore.

Inoltre gli europei dovrebbero riflettere sul fatto che le accuse alternativamente di "socialismo" e "fascismo" che gli vengono rivolte sono da addebitare a proposte di legge per l'introduzione di un welfare e di standard ambientali che per la civile europa sono conquiste acquisite. Conquiste che anche in Italia in molti vorrebbero mettere in dubbio, ma che ci hanno permesso di affrontare la crisi senza trasformarla in una vera e propria macelleria sociale. Come invece è avvenuto in altri Paesi del mondo.

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