
[29/01/2010] News
LIVORNO. L'enfasi con cui il Sole24Ore di oggi sentenzia che "è finita l'era dell'usa e getta: con la crisi la parola d'ordine degli italiani è «risparmio»", pare onestamente eccessiva. Per non dire ingenua. Sta di fatto che se il dato di Confartigianato secondo cui "il settore riparazione dei beni di consumo (come biciclette, abbigliamento, calzature, elettronica, giocattoli e bigiotteria) da giugno 2008 a giugno 2009 ha fatto registrare un incremento dello 0,3% del numero delle imprese" si può prendere come una buona notizia, che potrebbe essere (sottolineiamo potrebbe) foriera di discrete prospettive per un futuro con meno sprechi o comunque con meno rifiuti da smaltire.
«Si tratta di uno dei settori anticrisi dell'artigianato - commenta Bruno Panieri, direttore politiche economiche di Confartigianato sempre sul Sole - sia pure di dimensioni ridotte, che ha ricominciato a crescere proprio con le difficoltà della domanda e che accompagnerà anche l'avvio della fase di ripresa. A conferma del ricorso sempre più frequente alla manutenzione dei prodotti. Un caso: prima dell'erogazione degli incentivi per l'auto, il comparto dell'autoriparazione ha registrato un picco di crescita che è rallentata subito dopo. Ma il fenomeno riguarda anche abbigliamento e calzature».
«I piccoli negozietti di riparazioni e aggiustamenti funzionano tantissimo - afferma sempre sul Sole Rosalba Acquistapace, presidente dei sarti di Confartigianato -. Molti hanno aperto nei grossi centri commerciali e offrono un servizio rapido ed economico che la gente, per risparmiare, preferisce. Non si va più dalla sarta di famiglia per fare un orlo o un rammendo, come si usava una volta, e le nostre imprese sono penalizzate».
La strada è ancora lunga prima di abbandonare l'era dell'usa e getta, almeno per le scarpe. Alberto Guastalla, presidente dei calzolai di Confartigianato sostiene infatti che «C'è ancora la tendenza, tra la gente, a buttare più che a riparare, soprattutto quando si tratta di scarpe di bassa qualità. Ma rimane sempre una parte di clienti che preferisce prodotti migliori e li portano a riparare».
Un fenomeno che potrebbe essere letto come una risposta alla crisi economica ma che ha in sé anche i germi per trasformarsi in qualcosa di più duraturo. Si dice, infatti, sempre nell'articolo, «La crisi non è l'unica spinta allo sviluppo degli artigiani della riparazione» e secondo Marco Accornero, membro di giunta della Camera di commercio di Milano e segretario generale dell'Unione artigiani del capoluogo lombardo: «Il fenomeno è molto legato anche alla crescita del numero di imprenditori che arrivano dall'estero (Cina, Europa dell'Est, Africa) basti pensare che in Italia una sartoria su sei è di titolari stranieri».
Riassumendo: si sta (ri)formando un settore, quello delle riparazioni, che potrebbe contribuire ad allungare la vita ai prodotti; a dare posti di lavoro; a ricreare un tessuto sociale e una conoscenza di mestieri dimenticati addirittura coinvolgendo tradizioni e lavoratori stranieri. Nicchie? Certamente sì, ma se questo settore economico sopravvivesse anche al dopo crisi, si potrebbero immaginare addirittura anche una ripresa (se non addirittura) una rinascita di quelle botteghe che hanno fatto la storia anche dei nostri centri urbani ora invece sempre più sviliti e spopolati dai centri commerciali.
Senza l'intenzione di voler fare l'apologia del "si stava meglio quando si stava peggio", si può leggere questo fenomeno anche come riscoperta, e perché no, anche di nuove opportunità di lavoro per i giovani che forse non hanno mai conosciuto la "bottega" manifatturiera.
Ritrovare la via e l'interesse anche per il lavoro manuale -erroneamente archiviato come un ferro vecchio- e per la manutenzione degli oggetti prima della loro definitiva rottamazione potrebbe dare, oltre a un impulso all'occupazione, anche un piccolo aiuto a cambiare un modello di società che dello spreco ha fatto il suo totem.