[01/02/2010] News

La società no oil - di Fabio Orecchini e Vincenzo Naso

Ci sono dei libri che, causa crisi ma non solo, a leggerli ora sembrano scaduti come fossero degli yogurt. "La società no oil" di Fabio Orecchini e Vincenzo Naso è, in parte, uno di questi. Scritto nel 2006, infatti, prevedeva che in cinque anni il mondo avrebbe svoltato in modo deciso verso l'idrogeno e puntato fortemente sui cicli chiusi per frenate la profonda ferita che un'economia insostenibile ha causato al pianeta.

Le motivazioni e le argomentazioni a sostegno di questa teoria non mancavano e non mancano certo ancora ai due autori, anzi. La situazione ecologica globale è peggiorata dal 2006 ad oggi, ma le azioni (o almeno i tentativi) di dare risposte globali di una certa importanza non hanno prodotto, al momento, quasi alcunché. Gli unici miglioramenti in termini di riduzione di consumi di energia (mentre quelli di materia non si sono affatto ridotti) ci sono stati solo a causa di una recessione globale quasi senza precedenti.

Ma l'idea che questa "decrescita" facilitasse una riconversione verso un'economia "no oil" (nel senso di senza il petrolio) e pure segnatamente pro idrogeno non si è finora avverata. Diciamo finora perché è plausibile che nei prossimi anni (meglio non sbilanciarsi sul numero) si assista a questa rivoluzione, ma per onestà intellettuale va detto che ad inizio 2010 tranne qualche sperimentazione anche avanzata (in particolare alcuni distretti e alcune flotte di autobus) e l'ottimo sviluppo in sede di ricerca e le prime uscite sul mercato delle celle combustibili, non c'è altro.

Le varie filiere a idrogeno, una ne è nata anche in Toscana, sono poco più che laboratori, e anche sul piano dell'investimento delle case automobilistiche, che per Orecchini e Naso avrebbero fatto la scelta dell'idrogeno a breve, l'orizzonte è tornato ad essere quello dell'auto elettrica (quasi un ritorno al passato, anche se con tecnologia più moderna). Anche perché il neopresidente Usa Obama ha puntato su questa tecnologia e non sull'altra. Le spiegazioni certo possono essere diverse: o che l'auto elettrica dà più garanzie o che i costi di quella a idrogeno sono troppo elevati o che c'è una lobby che preme contro la rivoluzione all'idrogeno già da tempo prevista anche da Rifkin, le cui azioni però appaino in ribasso.

Noi crediamo che come sempre la verità stia nel mezzo e che di fondo bisogna accettare una verità: nessuno ha un pulsante in grado di far cambiare le cose in un istante e queste trasformazioni, necessarie va detto, sono complesse e seguono un'evoluzione tutt'altro che lineare. Anche perché sono molti quelli che remano contro... Inoltre l'occidente forse è anche abbastanza maturo per essere davvero alle soglie di un cambio di paradigma economico di questo livello, ma dovrebbe essere chiaro a tutti ormai che se in questo processo non vengono coinvolte progressivamente anche almeno Cina e India si sposterà il problema della sostenibilità semplicemente da un continente all'altro.

Nella sostanza "La società No Oil" è probabilmente lo scenario che più e meglio si avvicina a quello di un futuro sostenibile ambientalmente e pure socialmente (i numeri presentati sull'occupazione sono plausibili), ma quello che vogliamo mettere in evidenza è che nonostante le evidenze il mondo non sta andando ancora da quella parte. E paradossalmente su certe questioni siamo molto più avanti e su altre molto più indietro.

Non c'è traccia nel testo ad esempio di green economy e non si ipotizzava nemmeno di un presidente Usa che potesse scommetterci su, ma si dava per scontato che l'interesse per l'idrogeno sarebbe cresciuto a dismisura quando invece per un motivo o per un altro non è così. Come la teoria dei cicli chiusi ovvero una società che non crea rifiuti perché riesce come la natura) a riutilizzare tutto(teoria peraltro messa pure in dubbio recentemente, è ancora poco più che filosofia, se è vero come è vero che ancora si scambia la raccolta differenziata con l'effettivo riciclo dei rifiuti urbani e di quelli speciali nemmeno se ne vuol sentir parlare. Sui tempi inoltre non si fa cenno delle difficoltà enormi che le rinnovabili incontrano sia nella loro realizzazione e messa in opera, sia nel loro effettivo utilizzo causa una rete di distribuzione non all'altezza almeno in Italia.

L'energia, inoltre, è solo una delle due gambe del metabolismo del pianeta, l'altro è il flusso di materia per regolare il quale bisognerebbe almeno farsi carico di misurarlo. Certo, una società che non usa più le fonti fossili per produrre energia e che dalle rinnovabili produce il vettore idrogeno e riconverte così tutta la sua economia a emissioni zero (o quasi..) è qualcosa di certamente auspicabile, a patto però che non si creda che la sostenibilità ambientale si concluda qua. Anche perché per questa rivoluzione serve - come dicono anche gli autori - tanta ricerca e tanta innovazione, due campi - in Italia almeno, ma non solo - abbastanza bistrattati purtroppo, assai poco orientati verso la sostenibilità e che hanno bisogno di finanziamenti. Oltre a un'industria che poi dovrebbe essere riconvertita allo scopo. Ebbene, leggendo il libro si ipotizza che la deindustrializzazione in corso vedesse a breve una reindustrializzazone "verde" mentre invece la crisi ha visto aumentare a dismisura e senza motivazioni ambientali la prima; ma investire ancora troppo poco nella seconda anche se in molti, e questa è la novità, finalmente la individuano come l'unica strada possibile.

Dunque questo testo rimane di grande interesse - anche perché fornisce spiegazioni tecniche ben comprensibili e di alto livello dato che i due autori sono docenti universitari - e soprattutto come ipotesi convincente di un'economia no oil e che va oltre alle rinnovabili, che da sole sappiamo non essere in grado di rispondere alla domanda energetica di oggi e soprattutto di domani. Ma la distanza da questo scenario a quello attuale è tutta da rivedere. Se non è un libro dei sogni, lo è almeno dei segni, quelli che già nel 2006 facevano intuire l'urgenza di una rivoluzione che quattro anni dopo appare ancora drammaticamente così lontana e così vicina. Scenario che nelle ultime pagine, va detto, anche i due autori paventano nella speranza di sbagliarsi e che fa loro allungare i tempi della rivoluzione, più plausibilmente, in vent'anni, ma con un monito che oggi fa un po' preoccupare: o questa riconversione dell'economia parte a breve, o non partirà mai più...

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