
[27/07/2009] News toscana
Tre rondini non fanno primavera: intesa Regione e parti sociali per fronteggiare la crisi e a sostegno dell'occupazione con risorse dei fondi professionali; intesa Regione-Italia Lavoro spa: 15 ml di € per circa 10 mila lavoratori; protocollo tra Regione Toscana - sindacati e artigiani per progetti formativi in sicurezza sul lavoro (585 mila € nel 2009-10). Tre atti che non fanno una strategia per uscire dalla storica crisi di sistema dell'economia finanziaria e di quella reale con nuove prospettive per il Lavoro.
E' ora di rischiare e sperimentare un vecchio/nuovo obiettivo. Lavorare in libertà.
«... ma verrà il giorno che tutte quante lavoreremo in libertà...» cantavano le mondine più di cento anni fa. Utopia sociale, forse, ma da quegli auspici e speranze prese vita il movimento dei lavoratori organizzati.
La crescita del capitale, lo sviluppo delle forze produttive sono tali da rendere possibile lavorare poche ore al giorno cambiando tipologia di consumi e qualità della vita. E' possibile, non solo perché la scienza è diventata da tempo forza direttamente produttiva, ma perché la conoscenza e le capacità di cooperazione sociale del lavoro si sono sviluppate cento volte tanto dalla metà del secolo scorso. Eppure la ricchezza del lavoro sociale è costretta nel "misero e gretto" ambito (Keynes) dell'appropriazione da parte del capitale. Subendo la disoccupazione tecnologica.
Il tempo di lavoro necessario per la di vita si è ridotto a poco, bisogna lavorare meno con soddisfazione e sviluppo pieno delle proprie capacità (a partire da pari opportunità). Così ci sarà lavoro per tutti e in libertà, in un sistema produttivo dove il rispetto dell'ecosistema fa tutt'uno con la qualità della vita, ricomposizione tra sapere e saper fare, tra conoscenza e prodotto del proprio lavoro, tra lavoro e valore d'uso.
Investendo in conoscenza e sapere sarà possibile uscire dalla crisi ma in senso opposto all'uso per il maggiore sfruttamento delle risorse del pianeta, la rincorsa della competizione, l'aumento delle differenze tra paesi e classi sociali. Questo modello ha fallito.
Tanto più in Toscana dove dal secondo dopoguerra ci fu una tradizione di condivisione dei lavoratori agli obiettivi sociali della produzione. Ma ora, paradossalmente, quando le forze produttive sociali rendono possibile nuovi e ambiziosi obiettivi, l'impresa toscana è tornata da tempo a modelli autoritari e di sfruttamento (anche le cooperative in nome della "superiore" competizione sul mercato hanno ceduto il campo) e tanti lavoratori, soprattutto giovani, sono costretti a lavori precari spesso ripetitivi e di scarso contenuto. Ora che, invece, sarebbe già possibile affidare alle "macchine" questi compiti sotto il controllo evoluto e consapevole del lavoro.
L'impresa è nuda, ha detto qualcuno, e deve abbandonare i modelli autoritari, comando controllo, tra tecnostrutture e lavoratori, proprio quando essa rivendica per sé, nei confronti della Regione, di non essere considerata come oggetto di un rigido sistema "top-down", pena la perdita di capacità produttiva e del "capitale" più importante: la conoscenza dei lavoratori a tutti i livelli.