[15/02/2010] News

L’allevamento dei ratti giganti salverà l’Africa dal bracconaggio?

LIVORNO. Da più di 10 anni, grazie a progetti finanziati dall'Unione europea e soprattutto da Ong, si stanno  sviluppando, in particolare nell'Africa occidentale e nel Bacino del Congo, programmi di allevamento di animali selvatici per contrastare il bracconaggio e sviluppare attività redditizie che permettano una migliore gestione delle risorse faunistiche. In tutta l'Africa il consumo di carne selvatica è ormai entrato nelle abitudini alimentari di una grossa fetta di popolazione e i bracconieri riforniscono una clientela in aumento a causa dell'esodo rurale e della crescita della popolazione. L'assoluta scarsità di controlli sull'intera filiera della cacciagione/bracconaggio e la mancanza di entrate alternative favoriscono lo sviluppo della caccia incontrollata. Progetti come "Développement d'Alternatives au Braconnage en Afrique Centrale" si propongono di soddisfare una parte della domanda di carne con animali di allevamento. Il progetto prevede che gli allevatori svolgano anche attività complementari, come azioni di salvaguardia della fauna in situ e la sorveglianza di aree protette o di gestione faunistica.

Il Cercle International pour la Promotion de la Création (Cipcre) è una Ong cristiana che opera in Camerun e Benin nel campo dello sviluppo sostenibile, con una forte attenzione alle tematiche ecologiche, per «Contribuire, attraverso le azioni dei due Uffici nazionali in Benin e Camerun, alla costruzione in Africa di una società fondata su dei valori evangelici: vale a dire una società giusta, equa, umana, sana e verde».

Uno dei progetti individuati dal Ciopcre è quello dell'allevamento topo del bambù maggiore o aulacode (Tryonomys swinderianus - nella foto), chiamato anche agouti (in francese)  e greater cane rat (in inglese) e localmente grasscutter o cutting grass, un allevamento che in Benin è iniziato già nel 1983 grazie al Projet Promotion de l'Elevage d'aulacodes, finanziato dalla Germania.

L'aulacode è un grosso roditore (il secondo dell'africa per dimensioni) che appartiene alla grande famiglia degli istricomorfi, lungo tra i 40 e i 60 centimetri con un peso che varia dai 5 kg delle femmine ai 10 dei maschi, inoltre è dotato di una lunga coda da ratto tra i 7 e 25 cm. L'areale di diffusione è molto vasto: tutta l'Africa sub sahariana fino al Sudafrica, ma la popolazione più abbondante si concentra nell'Africa occidentale e centrale, E' considerata una specie nociva per i gravi danni che ha prodotto alle coltivazioni, ma molte popolazioni africane caccia il topo del bambù maggiore per la sua carne, considerata una prelibatezza.

Alphonse Azébazé, il responsabile del Cipcre per la zona di Bafoussam, spiega sul quotidiano camerunense  "Le Messanger" che «Una frangia della popolazione pensa che l'animale che si trova nella boscaglia è un dono del cielo e appartiene a chi sviluppa l'intelligenza per catturarlo; pertanto, la fauna selvatica è parte integrante della vita. Se le popolazioni cacciassero la selvaggina unicamente per il loro consumo, non si sarebbe raggiunto il livello del massacro che abbiamo oggi. Comprendiamo che da una parte c'è un interesse alimentare e dall'altra un interesse economico. Da qui la necessità della lotta contro il bracconaggio». Dal 2000 il Cipcre ha condotto uno studio nei santuari forestali del Camerun che ha rilevato i una considerevole diminuzione di esemplari e di diversità delle specie animali. «Tra le specie minacciate, tra le altre,  si citano i topi del bambù maggiori, i cervi, le antilopi, le tartarughe e delle specie di scimmie - dice Azébazé - Le principali cause identificate sono il bracconaggio e la diminuzione della superficie delle foreste per fini agricoli. La morte degli alberi senescenti ha contribuito a distruggere l'habitat degli animali, il che ha favorito la loro cattura da parte dei bracconieri». Secondo Azebaze, la soluzione per risolvere il problema della pressione della fauna selvatica è nell'allevamento della selvaggina: «In questa logica, nel 2002 abbiamo iniziato in partenariato con il progetto "Développement d'alternatives au braconnage en Afrique centrale" (Dabac), basato in Gabon, un progetto di addomesticamento e di diffusione di allevamento degli aulacodi nell'Ouest. Si è trattato di produrre dei genitori, di formare le persone interessate a questo allevamento, installarli e seguirli sul terreno per assicurare il buon cammino dell'attività. Oggi, delle persone sono formate e direttamente installate dal Cipcre nell'Ouest e nei suoi dintorni. Senza contare quelle che sono formate ed installate dagli allevatori perché ricevono la formazione dei formatori. Il problema è quello di fare formazione sul campo. All'inizio, l'obiettivo faceva parte della vocazione ecologica del Cipcre  che è una Ong per l'ecologia e lo sviluppo sostenibile. Siamo all'interno della logica in cui se molte persone allevano gli aulacodi, quelli che sono nella boscaglia saranno risparmiati dalla brama di selvaggina dei cacciatori. Questo contribuirà all'equilibri dell'ecosistema».

Per il delegato dipartimentale della fauna e delle foreste de i Noun, Maurice Djeumeli, «In località come Magba, Kouptamo, la lista delle specie minacciate di estinzione si è allungata. E' particolarmente vero per gli ippopotami che si riproducono poco in un anno». Ormai la caccia di selvaggina non riguarda più la sussistenza delle popolazioni locali, ma il bracconaggio rifornisce un vasto circuito commerciale che oltrepassa le frontiere del Camerun. I bracconieri sono parte di una vera impresa economica che utilizza ogni mezzo: dall'avvelenamento ai fucili, dai lacci di acciaio alla caccia non selettiva, con l'eliminazione sistematica di animali giovani, femmine gravide o maschi dominanti. Un vero e propri massacro, anche dal punto dell'equilibrio ecologico delle varie specie. Un traffico che al livello più baso si basa sulla vendita ai ristoranti o addirittura porta a porta, ma che a livello più alto gode della protezione dei alti funzionari, politici e uomini delle forze dell'ordine. Gisèle Tsangue, delegato regionale per la fauna per l'Ouest Camerun, confida a . "Le Messanger":  «Se niente viene fatto per scoraggiare il bracconaggio e il commercio illecito di selvaggina, la possibilità di consumare questa carne scomparirà nello stesso tempo delle specie.

L'incoraggiamento e la sensibilizzazione della popolazione all'allevamento di piccola selvaggina, gli sforzi del Cipcre, della richiesta di applicazioni e ricerca da parte della aziende agricole all'università di Dschang e l'estensione della domesticazione  del ratto gigante della Gambia (Cricetomys gambianus) non sono da trascurare». Ma le difficoltà sono molte, ad iniziare dalla mancanza e dall'invecchiamento del personale addetto al controllo e dall'l'insufficienza degli incentivi per i guardiacaccia di fronte ai rischi crescenti. «I mandanti del bracconaggio sono spesso nell'alta amministrazione - dice la Tsangue - Sono pronti a difendere i loro protetti. I bracconieri hanno armi sofisticate mentre noi non ne abbiamo. Il problema è quello di dotare di fucili l'Unité technique opérationnelle de lutte. Una richiesta dei bisogni è stato indirizzato alla gerarchia».

Per Djeumeli, le strategie di controllo della fauna dovrebbero essere completamente riviste, con blocchi stradali, pattuglie mobili, indagini sui singoli bracconieri e commercianti ed una modifica dell'intera gerarchia  dei controlli di polizia.  Anche in Camerun le leggi ci sono, ma sono poco rispettate.

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