[17/02/2010] News

Dissesto idrogeologico, Italia sei una frana

GROSSETO. Le immagini raccapriccianti della frana che ha travolto il comune di Maierato in Calabria, che si sovrappongono a quelle dei comuni dei Nebrodi in Sicilia, sono la dimostrazione eloquente degli effetti che il mutamento del clima stanno producendo su un territorio reso fragile dalla mancanza di politiche di pianificazione, quando non addirittura da scelte dimostratesi del tutto sbagliate. Situazione resa ancora più grave da una disattenzione da parte del governo nazionale alle politiche necessarie a fornire strumenti e risorse in grado di mettere il territorio e le popolazioni in sicurezza.

L'ammontare dei danni materiali (escludendo quelli in vite umane non certo monetabilizzabili) che si sono accumulati nel corso dell'ultimo decennio supera ormai di molto l'entità delle risorse che sarebbero state sufficienti a prevenirli e ad evitare gli innumerevoli e ripetuti interventi di emergenza e di ricostruzioni che da oggi e ormai quasi quotidianamente si rendono necessari.

Quasi 21 milioni di euro «la spesa sostenuta per tamponare i danni delle catastrofi idrogeologiche verificatesi nel decennio 1994-2004» secondo i dati forniti ieri da Massimo Gargano, presidente dell'Associazione nazionale bonifiche, irrigazioni e miglioramenti fondiari (Anbi). Ben maggiore sarebbe invece il conto secondo altre stime che indicano che in quasi cinquant'anni (dal 1956 al 2000)  i miliardi spesi sono oltre 40 e che negli ultimi 10 anni sono stati stanziati, in base alla legge Sarno del 1998, circa 1,7 miliardi di euro solo per gli interventi urgenti.

Soldi buttati al vento a vedere le immagini scioccanti delle frane che buttano giù le case e lasciano in piedi gli alberi. Quando sarebbe stata necessaria anche la volontà di rendere operativa una legge, la 183 del 1989, che avrebbe permesso la pianificazione del territorio attraverso la gestioni dei bacini idrografici e magari reso meno facile la cementificazione che si sta dimostrando un vero e proprio flagello.

Anche le stime sulle risorse necessarie per mettere in sicurezza il territorio italiano variano da fonte a fonte: erano 35 miliardi di euro quando il ministero dell'Ambiente era diretto da Altero Matteoli, sono circa 44 miliardi di euro secondo calcoli più recenti fatti dallo stesso ministero,  ne servono almeno 25 per  mettere in sicurezza le aree più dissestate secondo il capo del dipartimento della Protezione civile, Guido Bertolaso.

In realtà il risultato ottenuto è 1 miliardo di euro inserito (non senza difficoltà)  nella finanziaria 2010 per intervenire sul rischio idrogeologico a fronte dei 4 miliardi stimati necessari dal ministro dell'Ambiente, Stefania Prestigiaconmo, all'indomani del disastro di Messina e  che dovrebbe prevedere  la rapida realizzazione di un sistema coordinato di monitoraggio e intervento nelle aree a rischio. Pochi spiccioli quindi e il meccanismo e gli strumenti previsti per attuarlo non sembrano inclini ad essere né rapidi né tantomeno risolutivi. Le risorse saranno destinate a piani straordinari diretti a rimuovere le situazioni a più elevato rischio idrogeologico che verranno individuate dalla direzione generale competente del ministero dell'Ambiente,  sentite le Autorità di bacino e il dipartimento della protezione civile. Ma potranno essere utilizzate anche tramite accordi di programma con le regioni interessate così da definire la quota di un possibile cofinanziamento regionale da individuare tra le  risorse Fas che ciascun programma attuativo regionale destina ad interventi  di risanamento ambientale. Per accelerare i tempi si prevedono anche (tanto per fare cosa nuova) commissariamenti.

Intanto domani il ministro ha convocato un vertice con la Sicilia, cui è destinata una parte considerevole dei fondi, come annuncia un comunicato dello stesso ministero dell'ambiente, e con la Calabria per dar vita ad un accordo di programma per individuare gli interventi più urgenti e per verificare quante risorse in più si potranno reperire.

E mentre si procede con il programma previsto dal ministero, c'è già chi si candida ad intervenire. L'Anbi ha presentato, infatti,  ieri un piano pluriennale di riduzione del rischio idrogeologico «immediatamente cantierabile e che richiede un investimento complessivo di 4.183 milioni di euro» come annunciato dal presidente Gargano.

«Facciamo prevalere la cultura delle prevenzione civile su quella dell'emergenza» ha detto Gargano, perché «la tutela ed il risanamento idrogeologici, tramite la prevenzione costituiscono priorità strategiche per garantire al paese le condizioni indispensabili per la ripresa economica».

Obiettivi, ha sottolineato il presidente dell'Anbi «conseguibili solo se uniti alla lotta all'abusivismo edilizio, all'osservanza delle regole sull'uso del suolo, e realizzando il tanto auspicato federalismo cooperativo che rende necessari concertazione e collaborazione interistituzionale».

In tutto questo panorama assai grigio l'unica nota che possiamo mettere tra quelle positive è che ieri è passato in preconsiglio e verrà inserito all'ordine del giorno del consiglio dei ministri di venerdì un decreto legislativo che dovrebbe riportare in tempi brevi all'ordinaria amministrazione la valutazione e la gestione dei rischi, ovvero riportarla nella sua sede propria che è, appunto,  quella delle autorità di bacino.

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