[17/02/2010] News
LIVORNO. Gli esperti delle varie agenzie umanitarie temono che entro una quindicina di anni, con il moltiplicarsi delle conseguenze del cambiamento climatico, ci possa essere la concreta possibilità di non riuscire più a fornire l'acqua ed il nutrimento necessari a milioni di persone in alcune regioni dell'Africa colpite dalla siccità, oppure di non potersi occupare allo stesso tempo delle centinaia di migliaia di vittime di un ciclone in Asia e di intervenire in un'altra Haiti.
Randolph Kent, il direttore dell' Humanitarian Futures Programme del King's College di Londra e co-autore di "Humanitarian Horizons: A Practitioners' Guide to the Future" domanda: «Pensate che la comunità umanitaria sia in grado di rilevare la sfida?», e risponde che è possibile solo se si re-inventa «Ma il cambiamento è già cominciato e le opinioni che prevalgono sul modo in cui le catastrofi avvengono sono rimesse in questione. Le attività umanitarie non sono più limitate ad una risposta immediata e ad una rilevazione post-conflitto. Da qualche tempo la comunità umanitaria ha iniziato ad occuparsi delle cause e delle conseguenze delle catastrofi. Questo ha portato ad un aumento del numero di interventi umanitari che assomigliano sempre di più a delle attività tradizionali per lo sviluppo».
Kent e il co-autore del rapporto, Peter Walker, direttore del International center Feinstein dell'università statunitense di Tufts, prevedono l'avvento di «Un nuovo umanitarismo», una specie di protezione civile globale che includerà la gestione degli affari pubblici, i mezzi di sussistenza, la sicurezza, la protezione sociale ed altre attività legate allo sviluppo. «Combattere la vulnerabilità diventerà l'obiettivo principale», in un mondo che si annuncia in eterna emergenza.
La guida prevede che i governi dei Paesi in via di sviluppo, in particolare quelli asiatici, svilupperanno maggiormente i loro programmi nazionali di protezione sociale, con un aumento di richieste di intervento internazionale. Secondo Walker «In questo contesto, le organizzazioni umanitarie locali si svilupperanno e le organizzazioni internazionali dovranno probabilmente essere più disposte a lasciare la direzione delle operazioni alle sezioni o ai loro membri locali».
Paul Harvey, un consigliere per gli aiuti umanitari, ha detto all'agenzia dell'Onu Irin di prevedere «Il riemergere del primato dello Stato nella gestione delle catastrofi. Nel corso degli anni, l'apporto dell'aiuto umanitario ai governi dei Paesi in via di sviluppo è stato ridiretto verso le organizzazioni umanitarie, ma, recentemente i fondi hanno cominciato ad affluire direttamente verso i governi con l'emergenza in Paesi quali l'Indonesia, l'India e la Cina, capaci di intervenire in caso di catastrofi naturali».
Forse, vista inforcando questi occhiali con una visione internazionale, anche la querelle sulla Protezione Civile Spa in Italia assume un altro aspetto. Secondo il rapporto-guida, una nuova organizzazione umanitaria dovrebbe essere basata su tre apparati: uno destinato a fornire un aiuto imparziale nelle zone in conflitto e nei loro dintorni; una dedicata all'aiuto allo sviluppo nelle aree del mondo dove la povertà è endemica ma dove esiste anche uno Stato stabile; l'ultima che si concentri sugli Stati "fragili", con governi deboli e soggetti a catastrofi e crisi economiche, politiche e sociali.
Walker ha detto all'Irin che perché le organizzazioni umanitarie si adattino a questa nuova realtà planetaria occorrono «Due cose. La chiave sta nel prendere coscienza del contesto e di determinare le proprie azioni in funzione delle prove e non degli aneddoti. Per essere onesti, non stiamo rendendo troppo conto e rispettando le esigenze dei contratti pubblici e delle norme interne. Questo deve essere equilibrato con una richiesta ben più grande di dati locali, il che significa dover trasferire molta più autorità sul campo. Secondo, in molti luoghi, come con il sistema della rete di sicurezza in Etiopia, le organizzazioni umanitarie dovranno scegliere tra gli operatori dell'emergenza indipendenti e i fornitori di protezione sociale a lungo termine che lavoreranno in collaborazione stretta con i sistemi governativi. Non è questione di bene o di male, i due modelli sono legittimi, ma esigono organizzazioni molto differenti».
Kent dà 6 consigli alle organizzazioni umanitarie: 1) Prepararsi meglio per aver bisogno di meno tempo per prevenire; 2) Diventare più adattabili ed agili; 3) Prevedere di collaborare con degli scienziati e degli accademici per migliorare la propria capacità di analisi, ampliare la propria comprensione della complessità delle società e delle comunità e sviluppare una nuova prospettiva dei futuri scenari possibili; 4) Collaborare attivamente con il settore privato e l'esercito («L'esercito passa il 90% del suo tempo a fare analisi strategiche»); 5) Tenersi al corrente di innovazioni quali il Plumpy'nut, l'alimento terapeutico pronto all'uso che ha rivoluzionato il trattamento della malnutrizione grave tra i bambini; 6) Condurre i progetti in maniera più strategica.
Per Kent «La comunità umanitaria è passata da un approccio determinato dalla difesa di idee e della morale, ad un approccio sempre più determinato dalla managerialità. E' tempo di ritornare alla difesa delle idee e dei progetti. Penso che in materia umanitaria le Nazioni Unite debbano diventare un campione della causa, un moderatore del coordinamento in linea, un catalizzatore dell'innovazione e un difensore attivo riguardo alle vulnerabilità future ed alle loro soluzioni».