[29/07/2009] News
LIVORNO. Secondo la stampa australiana, il governo laburista di Canberra starebbe valutando l'opportunità di raddoppiare le compensazioni destinate alle miniere di carbone all'interno del suo carbon trade scheme. Intanto un nuovo sondaggio rivela che gli australiani vogliono che le leggi sul carbonio vengano approvate entro il 2010.
L'Australia è uno dei più grandi esportatori mondiali di carbone, ma l'industria carbonifera si lamenta perché l'emissions trading system (Ets), previsto dal governo, che dovrebbe entrare in vigore nel luglio 2011, costringerebbe alla chiusura diverse miniere, con la perdita di migliaia di posti di lavoro.
Secondo la stampa australiana il governo di Kevin Rudd starebbe per questo pensando di portare gli indennizzi previsti dall'Ets fino a 1,5 miliardi di dollari australiani (1,24 miliardi di dollari) anche con lo scopo di salvare i posti di lavoro dei minatori che rappresentano una discreta fetta del suo elettorato. Fino ad ora il governo aveva offerto all'industria carbonifera 750 milioni di dollari a titolo di risarcimento per l'Ets, ma l'Australian coal association ha risposto che, senza modifiche, in 10 anni l'emissions trading system avrebbe comportato costi per 14,5 miliardi di dollari australiani.
Un portavoce del junior climate change minister, Greg Combet, che ha avviato colloqui con gli industriali del carbone, ha detto che non vuole commentare quelle che considera solo speculazioni giornalistiche.
Quel che è certo è che il carbon trade scheme australiano riguarda direttamente un migliaio tra le più grandi imprese dell'isola-continente, che metterà un prezzo al loro inquinamento e darà allo stesso tempo incentivi finanziari per ridurre le loro emissioni.
Il piano del governo prevede compensazioni per gli impatti sull'Ets solo per 23 grandi miniere di carbone inquinanti sulle 121 esistenti in Australia, tutte le altre sarebbero escluse dal sistema Ets. Le imprese minerarie del carbone chiedono al governo australiano di essere trattate come le industrie dell'alluminio, del cemento e del gas naturale liquefatto, che riceveranno tra il 60 e il 90% di permessi "free" di emissione di CO2 durante i primi anni di avvio del carbon trading.
Il problema è che, secondo il governo, l'estensione al carbone delle esenzioni porterebbe una voragine di 500 milioni di dollari all'anno dei costi dell'Ets, un bel buco da tappare nella mancata vendita dei carbon permits.
Il primo ministro Kevin Rudd spinge per l'approvazione di leggi per realizzare il carbon trading e per far approvare dal Parlamento un taglio delle emissioni di gas serra del 25% entro il 2020, prima del summit Onu sul clima di dicembre a Copenhagen. Le leggi sono però bloccate in Senato, dove il governo laburista avrebbe bisogno di altri 7 voti per farle passare, altrimenti tutto rischia di essere sepolto sotto il voto contrario dell'opposizione conservatrice nella seduta del Senato del 13 agosto.
Il leader del partito liberale Malcolm Turnbull ha detto che sarebbe disposto ad approvare le leggi più tardi, magari anche entro il 2009, solo se il governo si impegnerà per una serie di emendamenti, tra i quali una maggiore tutela per le industrie del carbone e dell'energia elettrica.
Ma forse a Rudd conviene lo scontro e la bocciatura delle leggi: i sondaggi lo danno nettamente in testa e potrebbe essere tentato di andare ad elezioni anticipate nei primi mesi del 2010, invece di aspettare la scadenza naturale della legislatura prevista tra la fine del 2010 e l'inizio del 2011.
I sondaggi pubblicati ieri sui giornali australiani danno per Rudd un crescente gradimento che lo porterebbe a vincere facilmente le elezioni: se si votasse oggi i laburisti prenderebbero il 57% e tutta l'opposizione il 43%.
Il 53% degli australiani però pensa che l'Australia debba attendere fino a dopo il summit di Copenhagen prima di approvare l'Ets e che, in caso di fallimento dei negoziati, non dovrebbe introdurre nessun carbon trading. Una posizione attendista che rischierebbe di far fallire Copenhagen. Se è vero che l'Australia produce "solo" circa il 1,5% delle emissioni di gas serra del mondo, è anche vero che è uno dei principali inquinatori pro-capite proprio a causa della sua dipendenza dal carbone, con il quale produce circa l'80% della sua energia elettrica. Se l'Australia si defilasse la cosa non sarebbe affatto gradita a Paesi come l'India e la Cina (grandi partner commerciali di Canberra) che rinfacciano ai Paesi ricchi proprio le loro enormi quantità di emissioni pro-capite rispetto ai livelli ancora molto bassi delle economie emergenti.