[22/02/2010] News
LIVORNO. Nell'ampia produzione letteraria di Zygmunt Bauman, il tema della "modernità liquida", inteso come progressiva dissoluzione dei legami tra individuo, società e politica (e quindi tra le due anime di "individuo" e "cittadino" che sono racchiuse in un corpo unico) è ricorrente. Il tema è solitamente affrontato dal sociologo polacco, almeno negli ultimi anni, come lo spunto fondamentale per una radicale critica ai processi di privatizzazione e deregolamentazione che, dal liberismo tatcheriano in poi, non hanno fatto corrispondere ai miglioramenti dell'efficienza dell'economia e del mercato del lavoro (miglioramenti che Bauman mette peraltro in discussione) una parallela evoluzione sociale.
Il cittadino viene così ridotto a individuo, la società viene annullata e ridotta a somma di individualismi e/o di comunità autoreferenziali, e in generale la stessa vita umana viene svilita, "alienata " (cioè separata) dal flusso di sentimenti, relazioni, riconoscimenti visivi, olfattivi e tattili che la caratterizzavano fino a pochi anni fa, in direzione di una sua progressiva mercificazione.
L'alienazione del lavoratore all'interno della "società di produttori" discussa da Marx viene quindi proiettata nel XXI secolo, e riscoperta sotto la più onnicomprensiva forma di "alienazione dell'individuo" insita nel progredire della "società dei consumatori". E il suo risultato di ciò, secondo Bauman, consiste appunto nella progressiva dissoluzione di ogni legame e di ogni punto di riferimento a disposizione degli individui e delle comunità, i quali - lasciati alla deriva nel mare della contemporaneità anche per la fine delle ideologie politiche novecentesche e per la secolarizzazione delle ideologie spirituali - non trovano altro appiglio sicuro che non l'adesione all'ideologia predominante del secolo presente, e cioè nel consumo.
Secondo quanto Bauman sostiene in "Consumo, dunque sono", comunque, l'individuo e la comunità non compiono nessuna "scelta" in questa direzione: essi anzi sono, senza nemmeno accorgersene, catturati da quel flusso in cui (come sostiene l'autore citando Georg Simmel) «il significato e il valore delle differenze, e con ciò il significato delle cose stesse, sono avvertiti come irrilevanti, appaiono di un colore uniforme, grigio, in cui le cose galleggiano con lo stesso peso specifico nell'inarrestabile corrente del denaro».
E questo flusso uniforme e uniformante, sostiene l'autore, oggi è ben rappresentato dai social network che, lungi dal rappresentare una nuova forma di democrazia e una nuova agorà, diventano invece il luogo preposto alla disumanizzazione dell'individuo e dei rapporti sociali: così come sussiste, davanti al cittadino-consumatore, la «falsa scelta» rappresentata dalle miriadi di prodotti a disposizione per il consumo (nel senso che si può scegliere "cosa" consumare, ma non si può scegliere di evitare di essere catturati dal flusso di cui sopra perché esso rappresenta la natura stessa dell'«economia dell'illusione» che costituisce struttura della società attuale), così il sentimento umano è, nel mondo dei social network e in particolare nel suo comparto rappresentato dalle agenzie online di incontri, svilito a merce da mettere in vendita, in un'ottica di "autopromozione". Un mondo di individui soli, di comunità i cui legami interni si sono sfilacciati, che si illudono di attuare una comunicazione e ne mettono invece in atto una tragica parodia: questa è l'immagine che Bauman rende della società attuale.
Dal punto di vista economico, ciò si traduce per l'individuo/comunità in una sostanziale mancanza di anticorpi davanti alle irresistibili suggestioni indotte dall'economia dell'illusione: secondo Bauman, essendo l'entropia accelerata (che si sostanzia, ad esempio, nei meccanismi costruttivi e psicologici che danno luogo alla cosiddetta «obsolescenza programmata» delle merci) condizione irrinunciabile per il perpetuarsi dell'economia consumistica («affinché le aspettative restino vive, e nuove speranze riempiano prontamente il vuoto lasciato da quelle appena cadute in pattumiera e rottamate, il tragitto dal negozio alla pattumiera deve essere il più breve possibile e il passaggio dall'uno all'altra il più rapido possibile»), la non-adesione a questo flusso da parte dell'individuo/comunità è anzitutto sostanzialmente illusoria, e comunque essa conduce inevitabilmente all'esclusione sociale o comunque ad uno stato di perpetua insoddisfazione.
E l'aspetto più tragico è che questa insoddisfazione, secondo l'autore, è comunque il destino dell'individuo/comunità anche in caso di adesione (cioè di "non-resistenza") al sistema consumistico, proprio perché un perpetuo «cambiare identità, liberarsi del passato e ricercare nuovi inizi (..) viene incoraggiato da quella cultura come un dovere camuffato da privilegio».
In buona sostanza, secondo Bauman, «la cultura consumistica è contrassegnata dalla costante pressione ad "essere qualcun altro"», cioè da una perpetua induzione della necessità di rinnovare continuamente la propria identità (e quindi di «rinascere»): ciò è finalizzato a «creare nella domanda del pubblico uno spazio che sarà riempito dalle nuove offerte».
Un'analisi che, pur non del tutto innovativa, ha il merito di dare sistematicità a gran parte non solo della letteratura dello sviluppo del novecento e dei primi anni del nuovo millennio, ma che ne mette in rete le tematiche con la filosofia classica (Aristotele) e con quella moderna, da Hobbes a Marx, appunto.
E' questo, comunque, anche uno dei difetti dell'opera, nel senso che si avverte una certa autoreferenzialità nel modo in cui i temi sono trattati. Inoltre, spesso Bauman sembra in un certo senso "personalizzare" quei meccanismi di persuasione che analizza sì con grande acume, ma che sembra far risalire quasi ad una "stanza dei bottoni" che muove il mondo: si parla cioè dell'economia dei consumi e del modo in cui essa cattura l'individuo mercificando l'intera sua vita (l'amore, le amicizie, il lavoro, il tempo libero), ma se ne parla quasi, appunto, personificando l'economia stessa, senza chiarire adeguatamente attraverso quali canali reali si esplicano le suggestioni, e in particolare chi abbia un ruolo fattivo nel metterle in pratica.
In un certo senso, cioè, si destrutturano (e lo si fa con grande profondità) i meccanismi insiti nell'economia dell'illusione, ma non si dà reale struttura alle sue possibili alternative e/o mitigazioni.
Il difetto fondamentale di "Consumo, dunque sono", comunque, sta nel fatto che - almeno, così appare - per Bauman il metabolismo economico inizia con la "fabbrica" e si arresta alla "pattumiera". Nelle svariate parti del testo in cui si discute come l‘alta entropia dei flussi di materia ed energia (anche se non sono questi i termini adottati) sia condizione necessaria per il proseguimento dell'illusione consumistica, cioè, le argomentazioni si arrestano sempre prima di affrontare le conseguenze che ciò ha in termini di sostenibilità: nessun cenno alla consunzione del patrimonio naturale, nessun cenno alla questione dei rifiuti, nessun cenno ai problemi causati dalle emissioni climalteranti e non: sembra che Bauman non ritenga importante affrontare, oltre a ciò che avviene nella fase centrale del metabolismo economico, anche ciò che avviene al suo inizio e alla sua fine.
E questo appare un errore non solo in senso generale, ma anche perché l'analisi delle conseguenze in termini di sostenibilità sarebbe stato un ulteriore rafforzamento della tesi sostenuta da Bauman, quella tesi secondo la quale l'economia del consumo è economia dell'illusione, che induce e conduce ad un finto benessere. E quale illusione più grande del credere che questo flusso di merci e persone potrà durare per sempre, se esso metabolizza, per perpetuarsi, risorse finite, e non si cura della loro rinnovabilità?