
[30/07/2009] News
LIVORNO. Wal Mart, il colosso americano della grande distribuzione, prima (nel 2005) ha chiesto ai propri fornitori un'attenzione a ridurre i rifiuti, a privilegiare l'uso di risorse rinnovabili e a realizzare prodotti che possano essere più facilmente riciclati, e adesso rilancia introducendo il green index, uno strumento per contabilizzare l'impatto ambientale e sociale dei prodotti venduti nei propri negozi, cui le aziende sono caldamente invitate ad aderire. L'obiettivo è quello di rendere i consumi almeno consapevoli, per mettere in condizione l'acquirente di fronte alla scelta di privilegiare prodotti a minor impatto, sino ad arrivare (ma questo non è certo nella mente di Wal Mart) a consumare meno e solo quello che è davvero necessario.
Il guaio è che il green index è solo un questionario che la Wal Mart ha inviato a tutte le aziende di cui distribuisce i prodotti (da 60 a 100 mila circa); 15 domande che dovranno fornire informazioni riguardo all'energia consumata , alle materie prime e risorse naturali utilizzate e alle condizioni di lavoro. Il questionario, messo a punto con consulenti di diverse università americane, coinvolgerà quindi settori più vari, dall'abbigliamento alla cosmetica ai prodotti per la casa e le aziende avranno tempo sino ad ottobre per rispondere. Dopodiché, fa sapere Wal Mart «non saranno penalizzate quelle che non hanno risposto» (si potrebbe ravvisare altrimenti, dicono, una turbativa di mercato) ma «saranno meno importanti per noi». La risposta sembra però essere positiva almeno da parte di Unilever che reputa questa iniziativa «un grande passo avanti per l'industria» e di Procter&Gamble che ha accolto positivamente l'indice unico per tutte le aziende. Anche se, ripetiamo, il punto è che essendo un questionario e non essendo previsti controlli ognuno può bellamente compilarlo facendo risultare la propria azienda specchiata trasformando l'iniziativa in puro greenwashing e nulla più. Sial Ulilever sia Procter&Gamble dovrebbero invece risolvere tanti guai che combinano nel sud del mondo soprattutto riguardo ai rapporti di lavoro...
La preoccupazione eventuali per l'innalzamento che potrebbe esserci per i prezzi viene smussata da John E. Fleming, capo del merchandising della Wal Mart che dichiara: «penso che abbiamo dimostrato più volte che a ridurre gli imballaggi o l'energia utilizzata i costi scendono» . Una evidenza vera per i costi ambientali complessivi, ma almeno per il momento un po' meno per i consumatori finali.
Senza dubbio un segnale positivo - sempre che come detto non sia solo greenwashing e la puzza è forte - che viene dal mondo della grande distribuzione, considerato poi che la Wal Mart è una delle maggiori catene a livello mondiale. Da suggerire - a patto che lo rendano più cogente ed efficace - anche a Coin che sembra intenzionata a riprendere le trattative per acquisire Upim e a divenire, se l'operazione andrà in porto, la catena di distribuzione più estesa a livello italiano. E che nel frattempo - con le stesse premesse - potrebbe essere introdotta almeno da catene di distribuzione, quali Coop, che hanno sempre dimostrato una particolare attenzione ai temi della sostenibilità e che potrebbero maggiormente aiutare i propri soci (trattandosi di una cooperativa) ad orientarsi sempre più verso un consumo consapevole.