[11/03/2010] News

Nuovi benzinai, limitazioni possibili per finalità ambientali e sanitarie

LIVORNO. Il prevedere da parte degli Stati membri delle distanze minime obbligatorie fra i benzinai rappresenta una limitazione del principio di concorrenza, di libertà di stabilimento e di libera prestazione di servizi sanciti dall'UE. A meno che non sia giustificata da finalità di sicurezza stradale, tutela sanitaria ed ambientale e razionalizzazione del servizio reso agli utenti. Però la presenza di tali requisiti deve essere verificata dal giudice nazionale competente.

Lo afferma oggi la Corte di Giustizia europea - che limita il suo esame all'interpretazione delle disposizioni europee e rimanda al giudice nazionale - chiamata a redigere la questione sollevata dal tribunale del Tribunale amministrativo del Lazio relativamente al caso di una società con sede a Viterbo, che ha presentato (coerentemente alla normativa che richiede l'autorizzazione amministrativa) al Comune di Caprarola una domanda di concessione per la costruzione di un impianto stradale di distribuzione di carburanti, lubrificanti e gas di petrolio liquefatto (Gpl), lungo la strada provinciale "Massarella".

Nel corso del procedimento amministrativo è risultato, però, che il Comune di Carbognano avesse già rilasciato alla Felgas Petroli la concessione per la costruzione di un impianto di distribuzione di carburanti a breve distanza dal sito oggetto della domanda della viterbese Attanasio.

In Italia il sistema di distribuzione di carburanti prevede che l'installazione e la gestione degli impianti di distribuzione di carburanti sia autorizzata. E prevede che il rilascio dell'autorizzazione amministrativa (concessa dal Comune sul cui territorio tali attività sono esercitate) sia subordinata alla verifica della conformità degli impianti stessi al piano regolatore, alle prescrizioni fiscali e a quelle concernenti la sicurezza sanitaria, ambientale e stradale, alla tutela dei beni storici e artistici, e inoltre alle norme di indirizzo programmatico delle Regioni.

Per di più il sistema italiano prescrive l'adozione di un piano nazionale contenente le linee guida per l'ammodernamento del sistema distributivo dei carburanti. In tutto ciò le Regioni redigono piani regionali, includendovi criteri per l'apertura di nuovi punti vendita.

All'epoca dei fatti, le distanze minime obbligatorie fra gli impianti erano incluse nei citati criteri (la legge regionale del Lazio n. 8/2001 prevedeva la distanza minima di tre chilometri per gli impianti situati sulle strade provinciali).

Però, poco tempo dopo la data dell'ordinanza di rinvio, e prima che la stessa pervenisse alla Corte, l'Italia ha stabilito che l'installazione e l'esercizio di un impianto non possono essere subordinati a vincoli commerciali, a contingentamenti numerici, a distanze minime tra impianti ( legge n. 133/2008). Il tutto al fine di garantire il rispetto dell'ordinamento comunitario in materia di tutela della concorrenza.

Infatti, secondo una giurisprudenza costante, è vietato ogni provvedimento nazionale che, pur se applicabile senza discriminazioni in base alla nazionalità, possa ostacolare o scoraggiare l'esercizio, da parte dei cittadini dell'Unione, della libertà di stabilimento.

Quindi, secondo la Corte Europea, una normativa che subordina l'apertura di nuovi impianti di benzinai all'osservanza di distanze minime rispetto ad altri impianti analoghi, configura una restrizione, perché pone delle condizioni all'accesso all'attività e, favorendo gli operatori già presenti sul territorio italiano, è idonea a scoraggiare o impedire l'accesso al mercato italiano degli operatori provenienti da altri Stati membri.

La legge italiana - che fra l'altro si applica solamente ai nuovi impianti e non a quelli preesistenti - non sembra né soddisfare in modo coerente e sistematico le finalità di sicurezza stradale, nonché di tutela ambientale e della salute né la finalità della razionalizzazione del servizio. Anche la finalità della razionalizzazione del servizio reso agli utenti, per la sua natura economica non può costituire motivo imperativo di interesse generale, idoneo a giustificare una limitazione di una libertà fondamentale.

 

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