[19/03/2010] News
LIVORNO. Non può il giudice nazionale adottare decisioni concernenti l'assegnazione di singole quote di emissione di gas a effetto serra, perché il sistema di assegnazione è un sistema "chiuso". E' lo stato, infatti, che elabora i piani nazionali di assegnazione delle quote di emissione di gas a effetto serra (Pna), che fissa la quantità totale di quote da assegnare per ciascun periodo di cinque anni e che la suddivide tra gli operatori economici.
Dunque l'eventuale accoglimento del ricorso da parte del giudice, se dovesse comportare il conferimento alla ricorrente di maggiori quote, "imporrebbe di procedere a una contestuale e complessiva diversa riallocazione dell'insieme delle quote assegnate agli altri operatori economici nazionali".
Lo afferma il Tribunale amministrativo del Lazio (Tar) con sentenza di questo mese relativa alla questione riguardante la delibera adottata dal Comitato di gestione e attuazione della direttiva 2003/87/CE «specificazione del campo di applicazione del decreto legislativo 4 aprile 2006 relativamente agli impianti di combustione e raccolta delle informazioni ai fini dell'assegnazione delle quote di CO2 per il periodo 2008¬2012 agli impianti di cui alla decisione della commissione europea del 15 maggio 2007».
Tale provvedimento infatti ha esteso la disciplina comunitaria di rilascio delle quote di CO2 relativa alla emission trading anche all'attività di produzione di nero di carbonio (o carbon black o nerofumo di gas), materiale utilizzato soprattutto per la produzione di pneumatici, inchiostri e, in generale, come elemento additivo per la pigmentazione di oggetti, mediante il processo chiamato "fumace", ricavando vapore ed energia elettrica dal recupero energetico dalla sua produzione.
Al fine di promuovere la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra secondo criteri di validità in termini di costi e di efficienza economica, l'Unione Europea si è dotata di una politica comunitaria in materia di cambiamenti climatici, diretta ad assicurare il rispetto dell'impegno di riduzione delle emissioni (sottoscritto congiuntamente all'Italia e agli altri Stati europei) previsti dal protocollo di Kyoto.
Tanto che la direttiva del 2003 ha istituito il sistema comunitario di scambio delle quote di emissione di CO2 prevedendo che l'Italia, al pari degli altri Paesi comunitari, possa assegnare quote di emissione di CO2 ai singoli impianti, operanti nei settori economici individuati dalla direttiva sulla base di appositi piani nazionali (la cui conformità è valutata dalla Commissione europea). Ciascun gestore nazionale, a seguito dell'assegnazione delle quote, ha l'obbligo di comunicare le emissioni di CO2 effettivamente rilasciate in atmosfera nel corso dell'anno.
Gestori che fra l'altro hanno la possibilità di vendere le quote in eccesso - sempre che siano riusciti a ridurre le emissioni - ai quei gestori le cui emissioni sono eccessive. Il tutto al fine di promuovere la riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra in particolare di Co2 in atmosfera, secondo il principio "chi inquina paga".
L'Ue fornisce una chiara indicazione delle quote che ciascuno Stato può ripartire fra le diverse attività economiche disciplinate, secondo criteri volti ad assicurare la coerenza fra gli obiettivi di riduzione nazionale sottoscritti nell'ambito del Protocollo, le previsioni di crescita delle emissioni, il potenziale di loro riduzione ed il principio di concorrenza.
Ed è proprio in tale ambito, che la Commissione Europea con Decisione del 2007, ha ritenuto il Piano Nazionale presentato dall'Italia "non conforme " ai criteri di redazione dei Piani nazionali contenuti nella direttiva a causa della mancata inclusione di una serie di tipologie di impianti, (compresa l'impianto di produzione di nero di carbonio) e ha quindi chiesto all'Italia di integrare in tal senso il Piano, consentendole di aumentare di conseguenza, in maniera giustificata, la quantità totale media di quote annue da assegnare.
Quindi, visto che le decisioni Ue sono atti comunitari concreti e puntuali, e vengono definite come "obbligatorie" in tutti i loro elementi per i destinatari da esse specificatamente designati, il Comitato istituito presso il Ministero dell'Ambiente, ha dato attuazione alla decisione, al fine di evitare una sicura procedura d'infrazione e condanna nei confronti dell'Italia, con tutte le conseguenti ricadute negative anche economiche, e le connesse responsabilità erariali dei componenti del Comitato e degli stessi vertici ministeriali, integrando il Piano nazionale (atto amministrativo, pur generale).