[19/03/2010] News toscana
FIRENZE. Al di là delle prospettive generali per lo sviluppo della società e dell'economia (e quindi del lavoro) toscani, e del meritorio concentrarsi di queste prospettive intorno ad una robusta matrice di green-economy (vedi link in fondo alla pagina), la relazione esposta ieri da Gramolati indica anche alcuni punti più specifici di azione.
La natura comune degli interventi proposti (tra cui citiamo la definizione di «grandi piattaforme tecnologiche per energie alternative anche come momento di qualificazione e riconversione dei siti industriali come quello costiero o quello pratese che debbono collocarsi su una fascia produttiva a un più alto valore aggiunto», il sostegno all'aggregazione dei servizi pubblici locali, una nuova stagione di trasparenza incentrata sul «consentire finalmente il monitoraggio periodico dei risultati, il dibattito pubblico incardinato su dati e problemi reali, l'accertamento delle responsabilità» e un «rinnovato l'impegno su clima, pace e lotta alle povertà» che deve diventare il fulcro della stessa politica di gestione e contenimento dell'immigrazione) è data dal fatto che essi prendono come presupposto il superamento di due criticità fondamentali che vertono in sostanza sul radicato problema di un «approccio manicheo allo sviluppo industriale»: «non possiamo più» infatti - è il condivisibile parere esposto da Gramolati - «essere prigionieri di fronte a un investimento tra uno Scilla che obbliga a accettarlo a qualunque costo e un Cariddi che dice no a ogni costo».
E per superare questo stallo un ruolo devono svolgerlo sia l'industria e l'impresa stesse («veniamo da un ciclo dove il mito di impresa si è autocelebrato senza pensare alle comunità in termini di occupazione stabile, di tutela ambientale e di innovazione») sia le comunità le quali - anche grazie ad una migliore politica di coordinamento regionale - devono lasciarsi alle spalle «l'ulteriore ostacolo rappresentato dai localismi che si frappongono a ogni scelta di sistema».
E il presupposto di base per giungere a questo obiettivo passa per due step: la costituzione di una «grande rete di città» e soprattutto, ha sostenuto Gramolati citando il Garante della comunicazione Morisi, «una cultura del governo comunale che proprio per affrontare le sfide delle comunità locali deve sapere svincolarsi da illusorie semplificazioni municipalistiche (..). Insomma, non il centralismo supponente né la mera contrattazione del do ut des localistico, ma un grande progetto territoriale dove i pilastri siano lavoro, impresa, infrastrutture e paesaggio». Un progetto che valorizzi in primo luogo le nascenti «nuove filiere più composite tra agricoltura, industria e turismo», nelle quali «il patrimonio ambientale è il brand che dà valore ai prodotti».
Questa è la strada che il sindacato (che oggi, da «Cgil dei territori toscani» sta evolvendosi sempre più in una «Cgil dei territori per la Toscana», e questa evoluzione è ampiamente dimostrata dalla natura prospettica, e non settoriale, del documento prodotto per il congresso) indica alla prossima giunta regionale per il governo di un territorio in cui molte delle criticità ambientali («come ad esempio l'alto consumo di territorio») sono attualmente «sopite dalla crisi». Ma se non ci sarà, ammonisce il sindacato, un «nuovo sviluppo», allora inevitabilmente «il cattivo sviluppo, compresa la speculazione immobiliare, si ripresenterà magari in nome dell'emergenza. Con il rischio che una nuova crescita in questa direzione cancelli quel tratto distintivo di esclusività ambientale che rappresenta uno dei fattori di attrattività più significativi tanto per i settori turistici e commerciali, quanto per il manifatturiero».