[19/03/2010] News
Firenze. E' in corso a Cremona fino al 21 marzo "Vegetalia", il Salone delle fonti rinnovabili, durante il quale Anci e Legambiente, al convegno "Agroenergie e territorio", hanno presentato un documento da proporre ai ministri Scajola, Zaia e Prestigiacomo in vista dell'elaborazione del Piano d'azione nazionale in materia di energie rinnovabili, che il governo dovrà inviare a Bruxelles. Nel Piano dovranno essere indicate le modalità su come raggiungere l'obiettivo del 17% dei consumi finali di energia proveniente da fonti rinnovabili entro il 2020.
Nel documento di Legambiente ed Anci vengono presentate luci ed ombre delle recenti disposizioni in materia di energia approvate dal Parlamento italiano. Valutato positivamente l'incentivo di 28 cent/kwh per tutti gli impianti al di sotto di un Mw e il decreto ministeriale di prossima pubblicazione che riconosce un coefficiente per gli impianti superiori a un Mw, di 1,8 per le biomasse provenienti da ‘filiere corte'.
Questi provvedimenti dovrebbero consentire un rilancio anche di questo settore che può portare un contributo significativo all'aumento della quota di energia proveniente da fonti rinnovabili. Ma c'è anche l'altra faccia della medaglia. «In quei provvedimenti - ha sottolineato Vittorio Cogliati Dezza, presidente nazionale di Legambiente - ci sono anche errori che rischiano di vanificarne gli effetti positivi: negli impianti di piccola taglia l'allargamento della tariffa onnicomprensiva anche alle biomasse generiche parifica le biomasse agroforestali e i sottoprodotti agroindustriali alle frazioni organiche dei rifiuti urbani; è un errore perché non riconosce la diversa sostenibilità, economica e ambientale, di impianti alimentati da biomasse di origine locale o provenienti da filiere corte, non premia adeguatamente l'efficienza energetica e non valorizza il reddito agrario derivante dalla vendita di energia».
«Inoltre- ha continuato Cogliati- per gli impianti di taglia più grande si estende il beneficio della "filiera corta" non solo alle biomasse proveniente da un raggio di 70 chilometri di distanza dall'impianto, ma anche a quelle provenienti da "accordi di filiera" che permetteranno persino l'importazione dall'estero. Poiché il mercato e l'industria si muovono in base alla direzione tracciata dagli incentivi, sarebbe necessario essere molto più rigorosi nel concedere gli stessi solo a biomasse che permettano risparmi misurabili nelle emissioni di CO2 (almeno del 35%), così come si stanno orientando altri paesi europei, e sarebbe stata molto utile una tariffa incentivante modulare, che alla tariffa "base" affianchi premi per l'utilizzo del calore e per l'accorciamento della filiera» ha concluso il presidente di Legambiente.
Le due associazioni hanno quindi ribadito l'importanza di attivare filiere locali, ma nel documento si soffermano anche su un altro aspetto a cui Governo e Regioni devono prestare attenzione. Per incrementare l'apporto dell'agricoltura italiana al conseguimento degli obiettivi fissati dall'Unione europea per le rinnovabili (20%) e soprattutto per i biocarburanti (10% sul consumo energetico finale nel settore dei trasporti), per Legambiente ed Anci è necessario stimolare lo sviluppo del biometano (il biogas è la risorsa più abbondante in Italia), così come la ricerca e lo sviluppo dei cosiddetti biocarburanti di "seconda generazione" (in particolare i biocombustibili liquidi dai residui ligno cellulosici e dagli scarti agroalimentari).
«La possibilità che il mondo agricolo partecipi a pieno titolo alla produzione di energia dipende in larga misura dalla definizione di accordi a livello regionale o locale tra i diversi attori coinvolti, orientati a ripartire equamente su tutta la filiera il valore aggiunto prodotto - ha precisato Flavio Morini, delegato Anci all'Ambiente- Le filiere attivate a livello nazionale in questi anni hanno coinvolto solo marginalmente agricoltori, trasformatori e distributori locali favorendo, invece, strutture industriali che hanno utilizzato come materia prima oli o semi oleosi acquistati a basso costo sul mercato internazionale».
«Le agroenergie non si possono considerare una commodity energetica- ha continuato il delegato Anci- se l'approccio a questa fonte è di tipo prettamente mercantile, prevale il criterio di produrre la massima quantità al minor prezzo, col conseguente ricorso a materie prime importate, senza alcuna ricaduta positiva per il sistema agricolo nazionale».