[24/03/2010] News
LIVORNO. Nel 2009 al fine di indurre i piccoli e giovani consumatori ad apprezzare frutta e verdura la Commissione europea ha previsto per gli Stati membri un aiuto finanziario per la distribuzione di frutta, verdura, banane e prodotti derivati ai bambini negli istituti scolastici.
Adesso, l'Ue concedere agli Stati membri una proroga utile alla valutazione del loro programma (elemento indispensabile per ottenere il finanziamento europeo) e all'eventuale modifica della loro strategia: gli Stati potranno notificare entro il 28 febbraio 2010 la strategia per il periodo compreso tra il primo di agosto 2010 e il 31 luglio 2011. Mentre la Commissione potrà assegnare definitivamente l'aiuto entro il 30 aprile 2010.
Con regolamento pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale europea di oggi, l'Ue ha deciso di derogare sia il termine di notifica, da parte degli Stati membri, della loro strategia alla Commissione, sia il termine entro il quale la Commissione stabilisce l'assegnazione definitiva dell'aiuto nell'ambito del programma "Frutta nelle scuole". Il regolamento entrerà in vigore fra tre giorni e si applicherà a decorrere dal primo di febbraio 2010 fino al 30 aprile 2010.
Una simile decisione deriva proprio dal fatto che alcuni Stati membri hanno incontrato difficoltà per rispettare questo termine, tra l'altro perché devono ancora valutare l'efficacia del loro programma dopo il primo anno di attuazione.
Ogni Stato per partecipare al programma deve infatti elaborare in via preliminare una strategia a livello nazionale o regionale proprio al fine di assicurare una corretta attuazione del programma "Frutta nelle scuole". E il programma non deve includere prodotti non sani che contengono, ad esempio, un'elevata percentuale di grassi o zuccheri aggiunti. Mentre la Comunità deve redigere un elenco di prodotti o ingredienti che devono essere esclusi dal programma "Frutta nelle scuole", gli Stati dovrebbero redigere l'elenco dei prodotti ammissibili nell'ambito del loro programma all'atto dell'elaborazione delle rispettive strategie. E dovrebbero farlo sulla base della stagionalità, della disponibilità dei prodotti e delle "preoccupazioni ambientali" privilegiando i prodotti di origine comunitaria.
Non mancano comunque le critiche al programma o alla sua applicazione. Da aklcune settimane per esempio in Toscana sono cominciate ad arrivare confezioni di mele già a spicchi e imballate in vaschette di plastica: niente di più diseducativo dal punto di vista ambientale, vista l'inutile produzione di rifiuti.
In ogni caso, nella speranza che sia stato un errore momentaneo (fin da gennaio il programma Frutta nelle scuole ha invece correttamente diffuso frutta a porzione tra i bimbi, senza inutili imballaggi, va ricordato che frutta e ortaggi sono alimenti fondamentali per la conservazione della salute e la prevenzione di numerose malattie, ma solo una piccola percentuale di bambini (e non solo loro) mangia almeno una volta al giorno frutta e verdure.
Evidentemente i bimbi italiani - ma anche europei - e i loro genitori preferiscono altri prodotti, in particolare merendine (imbustate, incelofanate e "più pratiche" da consumare), grassi, troppo salati o troppo zuccherati e con basso valore nutrizionale che contribuiscono ad aumentare il peso.
E l'aumento dell'obesità tra i bambini, ma anche tra i giovani e adulti, dovuta prevalentemente ad una cattiva alimentazione (appunto troppo cibo, troppi grassi, poca ortofrutta e scarso movimento) costituisce un problema di salute prioritario.
Secondo quanto rileva l'Organizzazione mondiale della sanità sulla base delle statistiche sull'obesità condotte in tutta Europa (non solo all'interno dei paesi dell'Unione) negli ultimi vent'anni il tasso di obesità è triplicato e si prevede che in futuro le percentuali aumenteranno: entro l'anno in corso il fenomeno potrebbe interessare il 20% degli adulti e il 10% dei bambini della popolazione mondiale.
Nei bambini italiani con un'età compresa tra gli otto e i nove anni il 23,1% è in sovrappeso e l' 11,5% è già obeso.
L'obesità, purtroppo, è un fenomeno che caratterizza tipicamente i paesi occidentali e rappresenta non solo un elemento di rischio della salute umana ma anche un elemento che influenza la spesa sanitaria di un paese (in Italia quasi 8,3 miliardi di euro all'anno, pari a circa il 6,7% della spesa sanitaria pubblica, secondo uno studio congiunto condotto dalla Scuola superiore Sant`Anna e dall`Università Bocconi).