[29/03/2010] News

L'Artico ha perso il 26% delle popolazioni delle sue specie. Ma va meglio per balene, oche, pesci e lontre

LIVORNO Secondo il primo rapporto The arctic species trend index (AstiI), lemming, caribù e uccelli migratori come i "Red knot" sono alcune delle specie dell'Artico in declino ultimi 34 anni. Lo studio fornisce informazioni cruciali su come gli ecosistemi e la fauna selvatica dell'Artico rispondono ai cambiamenti ambientali e non sembra che lo stiano facendo molto bene.

«Mentre alcuni di questi declini possono far parte di un ciclo naturale - si legge nell'Asti - si teme che pressioni come il cambiamento climatico possano aver aggravato il naturale declino ciclico. Al contrario, i livelli delle popolazione delle specie che vivono nel sub-artico e nel basso-Artico sono relativamente stabili e in alcuni casi, in aumento. Le popolazioni di mammiferi marini, tra cui le balene della Groenlandia, del basso-Artico, potrebbero aver beneficiato del recente inasprimento delle leggi sulla caccia. Alcune specie di pesci hanno anche avuto un aumento della popolazione in risposta all'innalzamento delle temperature del mare».

Secondo una delle autrici dello studio, Louise McRae della Zoological society of London, «I rapidi cambiamenti degli ecosistemi dell'Artico avranno conseguenze nell'Artico che si manifesteranno a livello globale. L'Artico ospita abbondanti e variegate popolazioni di fauna selvatica, molte delle quali migrano ogni anno da tutte le regioni del mondo. Questa ragione agisce come un componente critico nell sistema che regola la terra dal punto di vista fisico, chimico e biologico».

Sembra particolarmente preoccupante la situazione degli uccelli migratori marini che nidificano sulle coste dell'Artico, ma sono necessarie ulteriori ricerche per capire se il fenomeno dipende dai cambiamenti in atto nell'Artico oppure da quelli nei siti di sosta lungo le rispettive rotte migratorie. La McRae sottolinea che «Le specie migratrici dell'Artico, come l'oca colombaccio, il piovanello pancianera e la beccaccia giungono regolarmente sulle coste della Gran Betagna. Abbiamo bisogno di metterci seduti e capire ciò che sta accadendo in altre parti del mondo, se vogliamo continuare a godere della diversità della fauna selvatica a casa nostra».

L'Asti comprende quasi 1.000 set di dati sulle tendenze delle popolazioni delle specie artiche, compresi quelli del 35% delle specie più rappresentative di vertebrati che si trovano nell'Artico.

Christoph Zöckler, del World conservation monitoring centre dell'Unep evidenzia che «La diffusione di questi risultati arriva in un momento cruciale per la ricerca di indicatori precisi per monitorare la biodiversità a livello mondiale, mentre i governi si sforzano di raggiungere i loro obiettivi di riduzione della perdita di biodiversità».

L'Asti utilizza I dati sui monitoraggi delle specie di vertebrati marine, terrestri e di acqua dolce e consente così una stima composita delle tendenze complessive delle popolazioni, ma anche quelle sulla base di tassonomia, bioma o regione. L'Arctic Species Trend Index è stato commissionato dal Consiglio Artico al CAFF Circumpolar Biodiversity Monitoring Programme ed è stato sviluppato in collaborazione tra Cbmp, Zoological Society of London, Unep World Conservation Monitoring Centre e Worldwide Fund for Nature.

Dal rapporto emerge che la popolazione media delle specie artiche è aumentato del 16% tra il 1970 e il 2004, tuttavia, questo non è coerente per tutti i biomi, le regioni e i taxa: un'elevata quantità di specie artiche sono diminuite in media del 26% tra il 1970 e il 2004.

Anche le popolazioni di alcune specie sub-artiche, la maggior parte delle specie terrestri e di acqua dolce, mostrano una recente calo rispetto al picco di crescita raggiunto a degli anni 1980, ma nessun cambiamento globale (-3%). Le popolazioni delle specie del basso-Artico, in gran parte specie marine, sono aumentate in media del 46%, tuttavia, i dati globali sono pesantemente condizionati dalle popolazioni orientali del Mar di Bering, molti delle quali hanno fatto registrare forti aumenti, come ad esempio alcune popolazioni di pesci a causa di miglioramento delle condizioni marine, mentre alcune popolazioni di mammiferi marini si stanno riprendendo dopo il divieto di caccia.

Le popolazioni di specie artiche di oche nidificanti risultano quasi raddoppiate dagli anni '70 (da 12,5 milioni a 21,4 milioni) , mentre invece diminuiscono fortemente altre specie di erbivori, soprattutto quelli stanziali. L'aumento delle popolazioni di oche si pensa sia dovuto soprattutto alla maggior disponibilità di cibo nei siti di svernamento, grazie alla presenza di rifiuti di origine agricola. Le altre specie che hanno nell'Artico i loro pascoli se la sono cavata molto peggio: si registra un calo complessivo del 20% tra il 1985 e il 2004. La ragioni di questo declino non sono note. In aumento rispetto al 1970 le lontre marina, anche loro grazie alla diminuzione della caccia.

Il trend delle 25 popolazioni di caribù del Nord America e delle 21 popolazioni di renne eurasiatiche hanno raggiunto il loro picco tra la fine degli anni '90 e l'inizio del 2000, con circa 5,6 milioni di capi, e da sono diminuite di circa un terzo. La più grande mandria della Russia e del mondo, la Taimyr, nel 2000 era composta da circa un milione di animali. Anche si pensa che i cali recenti siano dovuti ad un ciclo naturale, c'è una forte preoccupazione per gli impatti negativi dei cambiamenti climatici sull'areale delle renne/caribù e per il fatto che le tendenze demografiche al calo mostrano analogie sorprendenti sia per le popolazioni americane che per quelle euroasiatiche, mettendo in evidenza, anche rispetto ad altre specie, l'esistenza di problemi riguardanti la fauna maggiore di tutto l'Artico.

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