[31/03/2010] News
GROSSETO. L'Italia sarebbe la (pen)isola del tesoro, ma nessuno la sfrutta. Il tesoro in questo caso sono giacimenti di combustibili fossili, gas e petrolio, e ad impedirne lo sfruttamento sarebbero i processi autorizzativi a carico delle regioni che non riescono ad arrivare a meta.
Secondo Assomineraria, l'associazione confindustriale delle industrie minerarie e petrolifere, che si avvale a sua volta dei dati di Nomisma, in Italia sarebbero immediatamente cantierabili investimenti privati stimati in 5,4 miliardi di euro, per 57 progetti di esplorazione, produzione e stoccaggio relativamente a combustibili fossili. Progetti che non andrebbero però avanti per colpa dei ritardi nelle autorizzazioni. Ma fatti bene i conti, secondo quanto asserisce il presidente di Assomineraria Claudio Descalzi, quello che sta nel sottosuolo, in termini di petrolio e gas varrebbe cifre molto più alte, oltre 200 miliardi di euro: un patrimonio che permetterebbe di aumentare del 40% l'anno l'attuale produzione nazionale, con ricadute in termini industriali e di incassi per lo Stato.
Sempre secondo l'analisi Nomisma, la ricaduta occupazionale sui settori direttamente coinvolti nella produzione di beni e servizi a questi progetti è valutata in circa 34.000 addetti-anno, che sarebbe prevalentemente concentrata nei primi tre anni dallo sblocco delle autorizzazioni ma che raddoppierebbe se si considerassero i positivi impatto indiretti sull'economia, fra cui le imprese che forniscono beni e servizi al settore.
Le regioni dove maggiore sarebbe la concentrazione dei distretti petroliferi e metaniferi, sempre dall'analisi svolta da Nomisma Energia, sarebbero l'Emilia-Romagna e l'Abruzzo, la Basilicata (quella dove è maggiore il trend di crescita e di sfruttamento) mentre la Lombardia e la Toscana rappresentano le aree dove si concentra il business dell'indotto, ovvero delle società che forniscono know how e tecnologie al settore upstream.
Possibile allora che le imprese del settore non riescano a spuntarla e ad ottenere lo sblocco delle autorizzazioni? Possibile che Eni debba andare a procacciarsi il gas e ad estrarre petrolio in tutto il resto del mondo avendo così a portata di mano tanta ricchezza? Oltre alle conoscenze che gli derivano dal fatto di aver sfruttato per decenni il sottosuolo e le profondità marine del nostro paese.
Eppure l'azienda del cane a sei zampe che ha di recente presentato il piano strategico 2010-2013, dove conferma la propria strategia di crescita della produzione di idrocarburi con un tasso di incremento medio annuo previsto per quel periodo in oltre il 2,5%, prevede che questa crescita - si legge in una nota dell'azienda- sarà focalizzata nelle aree in cui Eni vanta una presenza consolidata, ovvero Africa, regione del Caspio e Paesi Ocse, e in nuove aree a elevato potenziale tra cui in particolare l'Iraq.
Se l'Italia fosse davvero ancora quest'isola del tesoro che sembra e se fosse così semplice- al netto delle autorizzazioni- e così economicamente vantaggioso estrarre tutta questa ricchezza dal sottosuolo o dai fondali marini, perché la principale azienda italiana che ha operato e opera nel settore e che è ancora una azienda a forte partecipazione dello Stato (ne detiene una quota superiore al 30% oltre ad essere titolare della golden sharing) andrebbe a sviluppare la propria strategia di crescita in aree così lontane e spesso così difficili del pianeta?
Sarà allora che questo tesoro è già stato ampiamente depredato e quel che rimane conviene - per tutta una serie di problemi non solo di carattere burocratico - lasciarlo dov'è a rappresentare magari una riserva strategica?