[01/04/2010] News
LIVORNO. Il segretariato della Convenzione quadro dell'Onu sul cambiamento climatico (Unfccc) ha pubblicato il rapporto ufficiale sui risultati della conferenza di Copenhagen del dicembre 2009 dal quale emerge che 75 parti della Convenzione hanno trasmesso i loro obiettivi nazionali sulla riduzione delle emissioni entro il 2020. «Insieme, queste parti sono responsabili di più dell'80% delle emissioni mondiali legate al consumo di energia - spiega l'Unfccc in un comunicato - 41 Paesi industrializzati hanno formalmente comunicato i loro economy-wide target all'Unfccc. 35 Paesi in via di sviluppo hanno comunicato informazioni su appropriate azioni nazionali di mitigazione che hanno in programma di prendere, a condizione che ricevano un sostegno adeguato in termini di finanziamento e tecnologia».
Il rapporto della Conferenza delle parti dell'Unfccc contiene il testo dell'Accordo di Copenhagen e la lista delle 112 parti (111 Stati più l'Unione Europea) che lo hanno accettato. Ne mancano quindi all'appello più di 82 e 119 non hanno presentato impegni e piani. Si (ri)parte comunque con l'handicap, visto che il Protocollo di Kioto era stato ratificato da 190 delle 194 parti dell'Unfccc.
Il segretario esecutivo (e dimissionario) dell'Unfccc, Ivo de Boer, ha detto che «E' chiaro che le promesse poste sul tavolo sono una tappa importante per limitare l'aumento delle emissioni, ma così come sono non saranno sufficienti a limitare il riscaldamento al di sotto dei 2 gradi Celsius. La Conferenza sul clima della fine di quest'anno in Messico dovrà conseguentemente mettere in campo dei meccanismi di cooperazione efficaci per permettere un'accelerazione significativa delle azioni a livello nazionale, regionale ed internazionale al fine di limitare l'aumento delle emissioni e di prepararsi alle inevitabili conseguenze dei cambiamenti climatici».
Secondo de Boer «E' importante ricordarsi che molte delle decisioni che avrebbero permesso un'azione immediata sui cambiamenti climatici sono fallite e non sono state prese a Copenhagen. Questo lavoro può essere avviato in Messico con l'adozione di un insieme di misure forti ed equilibrate».
In un'intervista all'Associated Press de Boer abbandona l'aplomb istituzionale e ammette che «I Paesi devono ripristinare la fiducia nei negoziati delle Nazioni Unite in seguito al lugubre risultato del vertice di Copenaghen di dicembre, che si è conclusa con un vago accordo di principi e un pugno di finanziamenti per i Paesi poveri più minacciati dal cambiamento climatico. C'è stata una grande frustrazione, in termini di processo, alla fine della conferenza di Copenaghen». La prossima conferenza annuale a Cancun, in Messico, a novembre, dovrebbe rimettere in carreggiata i negoziati tra le 194 nazioni partecipanti, con l'obiettivo di concordare i principali elementi che potrebbero delineare un accordo l'anno dopo in Sudafrica. La mia speranza è che a Cancun si deciderà quel che avevo sperato si decidesse a Copenhagen».
Intanto l'Unfccc prepara per la prossima settimana a Bonn i primi climate change talks dopo Copenhagen, che dovrebbero fissare un calendario per le varie conferenze preparatorie del summit di Cancun.
La novità viene dal governo britannico: Londra, nella speranza di rilanciare i colloqui in stallo, ha proposto un possibile processo a doppio binario per un nuovo patto globale delle emissioni, sostenendo il mantenimento dell'attuale Protocollo di Kyoto a partire dal 2013, nell'ambito di un accordo più ampio che coinvolga tutti i paesi. «Un secondo periodo di adempimento del protocollo di Kyoto è qualcosa che siamo disposti a intraprendere, purché sia parte di un quadro giuridico che copra tutti i Paesi - ha detto Il ministro per i cambiamenti climatici, Ed Miliband - Quello che proponiamo spero serva ad iniziare a superare lo stallo su un trattato giuridico. E per l'Ue a prendere una posizione collettiva». Secondo lui, se gli Stati continuano a sprofondare in trattative per un unico patto vincolante alla fine ci potrebbero essere due trattati, invece che uno.
Secondo Miliband il Protocollo di Kyoto del 1997 potrebbe essere esteso oltre la sua scadenza nel 2012 e fissare obiettivi vincolanti per i Paesi lo hanno firmato. Un secondo trattato dovrebbe riguardare i Paesi che non hanno mai assunto impegni relativi al Protocollo di Kyoto, tra cui Usa e Cina: «Siamo interessati a cercare di uscire dall'impasse e trovare il modo di risolvere alcune delle questioni sollevate a Copenaghen - ha detto Miliband - Non vogliamo lasciare che un argomento tecnico sul fatto che abbiamo un Protocollo o due faccia deragliare il processo. Siamo determinati a mostrare flessibilità fino a quando non ci sia un pregiudizi per i principi ambientali».
La Gran Bretagna rompe così il fronte dell'Unione Europea che non aveva mai accettato di discutere di un doppio binario e soprattutto di due protocolli paralleli. Jos Delbeke, capo della sezione clima della Commissione europea, ha detto alla Reuters che l'Ue non potrebbe sottoscrivere una proroga di Kyoto, a meno che non fosse sostenuta anche da Russia e Giappone, il che non sembra certo.
le nazioni in via di sviluppo preferirebbero continuare con il Protocollo di Kyoto perché sospettano che qualsiasi alternativa porterebbe a un accordo debole, privo degli obiettivi vincolanti per i Paesi ricchi.
Anche de Boer ha detto che a Bonn bisognerà smetterla di discutere «Isolando le questioni chiave ed adottare invece un approccio olistico verso l'adattamento al cambiamento climatico, la deforestazione, il trasferimento di tecnologie per i Paesi poveri e del contenimento delle emissioni di carbonio».