[09/04/2010] News
LIVORNO. Con le riunioni dell'undicesima sessione del Ad hoc working group on further commitments for Annex I Parties under the Kyoto Protocol (Awg-Kp 11) e della nona sessione dell' Ad hoc working group on long-term cooperative action under the Convention (Awg-Lca 9), sono iniziati a Bonn, in Germania, i Climate change talks che dovranno spianare la strada negoziale prima di arrivare alla Conferenza mondiale sul clima delll'Unfccc a novembre a Cancun, in Messico.
Ieri, in preparazione del meeting di Bonn, si erano riuniti il Gruppo dei 77 e Cina, il gruppo africano, i piccoli Paesi insulari in via di sviluppo e i Paesi meno sviluppati.
I tre giorni del meeting di Bonn serviranno soprattutto a fissare il calendario delle altre riunioni preparatorie che dipenderà molto da come i vari Paesi e gruppi di Paesi decideranno di mettere in atto i magri risultati ottenuti alla Conferenza di Copenaghen e il suo Accordo non vincolante.
Probabilmente al centro della discussione ci sarà anche la proposta britannica del "doppio binario" e della prosecuzione degli impegni del Protocollo di Kyoto per i Paesi ricchi e di un trattato a parte per quelli in via di sviluppo.
In pratica, mentre i Paesi sviluppati potrebbe estendere i propri obiettivi di riduzione delle emissioni oltre il 2012, quando scadrà il protocollo di Kyoto, un altro trattato potrebbe coinvolgere i Paesi come gli Stati Uniti, che non hanno ratificato il Protocollo di Kyoto, e i Paesi in via di sviluppo, che non sono obbligati a ridurre le loro emissioni nel quadro del protocollo.
I grandi Paesi emergenti come Cina e India sono favorevoli alla prosecuzione del Protocollo di Kyoto, ma sono contrari ad obiettivi vincolanti di riduzione delle loro emissioni, anche se con l'Accordo di Copenhagen, voluto fortemente dal Basic (Brasile, Sudafrica, India e Cina) e dagli Usa, hanno accettato di comunicare i loro tagli volontari delle emissioni di gas serra all'Unfccc.
L'Accordo di Copenhagen è stato fino ad ora sottoscritto da una minoranza di Paesi, 75, che peò rappresentano l'80% delle emissioni di gas serra a livello mondiale e che hanno già presentato i loro impegni nazionali per ridurre o limitare le loro emissioni entro il 2020.
Sulle capacità delle delegazioni di scrollarsi di dosso l'insuccesso di Copenhagen non scommette certo Kaisa Kosonen, un climate policy adviser di Greenpeace presente a Bonn, che ha detto all' Associated Press: «Se fossero seri, dovrebbero mettere insieme un piano di lavoro ed attuarlo. Non è il numero delle riunioni che devono cercare di ottenere, ma il mandato per queste riunioni».
Secondo Yvo de Boer, il capo dimissionario dell'Unfccc, invece Bonn «E' importante per ricostruire la fiducia nel processo, per sondare i Paesi su come vogliono procedere».
Ma il percorso verso Cancun sembra minato dall'incomprensione e dai diversi interessi, soprattutto ora che tutti cercano di riagganciarsi a una timida ripresa economica e si scordano molte promesse di green economy per aggrapparsi alla old economy.
Intanto nei corridoi di Bonn si discute soprattutto su chi sarà il nuovo capo dell'Unfccc che sceglierà il Segretario generale dell'ONU Ban Ki-moon per sostituire de Boer dal primo luglio. Ban ha già detto che si consulterà con un gruppo di 11 paesi che si riunirà a margine della conferenza di Bonn, una cosa che non è piaciuta a molti. I contendenti più accreditati sono l'ex ministro dell'ambiente dell'India Vijai Sharma, l'ex ministro del turismo sudafricano Minister Marthinus Van Schalkwyk e Christiana Figueres della Costa Rica, attualmente consigliera di un'impresa energetica spagnola. Anche le Barbados, l'Indonesia, l'Equador e il Pakistan hanno nominato propri candidati, ma i più pensano che si tratti di esponenti "di bandiera" dei vari gruppi di Paesi e che probabilmente si faranno da parte nel corso delle trattative.