[03/08/2009] News toscana
FIRENZE. In Toscana, come 1/3 del mondo, si vive "nell'abbondanza" in cui la crescita continua produce le crisi caratteristiche dell'abbondanza di capitale (nella forma denaro), da una parte, e la perdita di autonomia e di qualità del lavoro dall'altra, mentre lo sviluppo delle forze produttive crea le condizioni per la crescita della conoscenza nel lavoro, almeno per quei settori a maggior contenuto di tecnologia e scienza. Da tempo si è prodotta la possibilità di liberazione del lavoro, cioè lo sviluppo dei lavoratori come soggetti della conoscenza oltre la produzione, e di liberare capacità.
Si è visto anche da noi nei settori più avanzati, nel lavoro autonomo -nelle attività dell'economia della conoscenza, la farmaceutica, le biotecnologie, i servizi avanzati alle imprese, la cultura, i beni culturali e la tutela ambientale, il recupero e il riciclaggio -. Il lavoro è veicolo fondamentale, malgrado i miti del consumo, di realizzazione delle persone e di sviluppo della creatività.
Ma per tanti lavoratori, anche in Toscana, luogo di eccellenza nella storia recente e passata del lavoro creativo e indipendente (anche dall'arricchimento)[1], una parte consistente di lavoratrici e lavoratori (anche di nuova immigrazione) è impiegato in attività povere di contenuti, spesso ripetitive e dequalificate, dove prevale l'alienazione e l'unico legame concreto resta il risultato del lavoro. Invece gli economisti, neoliberisti in particolare, teorizzano il lavoro come pena e la totale separazione del lavoro dall'utilità, com'è per il capitale.
Con questa crisi, però, vengono alla luce le contraddizioni e il lavoro torna ad essere il nodo vero (si riscopre allora che la ricchezza la produce il lavoro non la moneta), non solo perché senza lavoro non c'è possibilità di sovrappiù di consumo, ma perché la perdita del lavoro retribuito significa il rientro nella povertà soprattutto per l'indebitamento delle famiglie (casa, auto, elettrodomestici, figli, ecc.); lo si è visto nelle gravi preoccupazioni degli oltre 450 lavoratori della ex Zanussi di Scandicci durante la lotta per la difesa dello stabilimento. O a Prato in questi giorni dove, dice un'operaia: <>[2].
Ma c'è di più, nella società capitalista il lavoratore, salariato, stipendiato, a progetto, consulente, ecc, è per sua natura "virtualmente povero" perché se l'impresa non ha più bisogno di lui o di lei, non può fare il suo lavoro che è diventato superfluo.
La sofferenza della perdita del lavoro deriva anche dalla perdita dello status sociale e il depauperamento dell'esperienza di rapporto con i propri simili e alla fin fine col proprio territorio.
In queste circostanze tornare ad una strategia politica e sociale che assuma il punto di vista della libertà del lavoro non paia un paradosso, tutt'altro, perché il lavoro libero richiede capacità, conoscenza, concentrazione, sforzo intenso, creativo (l'esempio di K.Marx del comporre musica) e può essere tale solo se si riafferma e valorizza il suo carattere sociale, se il lavoratore è posto non come oggetto ma soggetto del processo di produzione così come in quello di consumo che diventa vita libera superando la separazione tra tempo di lavoro e tempo, cosiddetto, libero.
[1] Anche al tempo della fine della mezzadria e il trasferimento nelle aree urbane che immise sul mdl manodopera capace di svolgere più lavori (agricolo, fabbro, meccanico, falegname, edile, ecc.) e di adattarsi alle nuove condizioni o i tecnici ed operai qualificati licenziati per discriminazione politica e sindacale dalle grandi fabbriche toscane negli anni ‘50.
[2] La Repubblica 28 luglio 2009 pag. II cronaca di Firenze.