[12/04/2010] News
LIVORNO. Quelli terminati ieri a Bonn dovevano essere dei tranquilli Climata cange talks per definire il calendario che porterà ala Cop 16 dell'Unfccc a Cancun di fine anno, ma ci ha pensato la delegazione Statunitense a vivacizzarli. Come scrive il Washington Post: «Si può decidere di boicottare l'accordo di Copenaghen, ma ha un prezzo. Per la Bolivia, che è 3 milioni di dollari e per l'Ecuador, che è di 2,5 milioni di dollari». Nel mirino del governo Usa c'è soprattutto la Bolivia di Evo Morales, ormai alla testa del folto gruppo dei critici più accesi dell'Accordo Usa-Basic (Brasile,Sudafrica, India,Cina) raggiunto a Copenhagen e che si appresta ad ospitare a fine mese a Cochabamba una contro-conferenza dei Paesi poveri e dei popoli autoctoni, poi viene l'Equador di Rafael Correa che continua a fare proposte alternative per le compensazioni riguardanti lo sfruttamento del petrolio e delle foreste.
Eppure tutti e due i Paesi sudamericani ribelli sudamericani sono inclusi nella Global Climate Change initiative dell'amministrazione Obama e il Dipartimento di Stato Usa prevede per il 2010 finanziamenti di 3 milioni dollari per la Bolivia e di 2,5 milioni per l'Equador, ma il Congresso ha diminuito a 305,7 milioni di dollari I fondi per l'aiuti ai programmi di assistenza al cambiamento climatico, rispetto ai 373 milioni di dollari inizialmente previsti. Il taglio di bilancio è stata l'occasione per il governo di Washington per dare una lezione a Bolivia ed Equador, negando loro l'assistenza climatica Usa.
A Copenhagen Bolivia, Cuba, Venezuelae Nicaragua si erano formalmente opposti all'accordo, mentre l'Ecuador è tra i paesi che devono ancora approvare formalmente l'accordo, ma è in buona compagnia: degli scettici fanno parte tutti i Paesi più vulnerabili ai cambiamenti climatici, come il Sudan e le isole Tuvalu che si sono apertamente opposte, ma anche grandi emettitori come l'Argentina. Colpire solo Bolivia ed Ecuador sa molto di una punizione verso due governi di sinistra molto scomodi e fuori dagli schemi.
«Questi fondi sino stati concordati come parte dell'Accordo di Copenhagen - spiega l'inviato speciale Usa per il clima, Todd Stern - e in linea generale gli Usa utilizzeranno questi fondi per i Paesi che hanno manifestato il loro interesse per far parte dell'Accordo». Secondo Stern la decisione «Non è categorica» ed alcuni Paesi che non hanno ancora formato potrebbero, in certe circostanze, ottenere ancora dei finanziamenti.
Ma il direttore del programma cambiamento climatico di Oxfarm, David Waskow, non è assolutamente convinto dal ragionamento di Stern: «Nessuno può mettere in dubbio che le persone povere in Bolivia ed Ecuador siano estremamente vulnerabili agli impatti del cambiamento climatico. Dovremmo prendere queste decisioni in base al merito di quanto le comunità hanno bisogno del nostro sostegno e non su alcuni altri fattori. Se si vuole costruire la fiducia e la cooperazione con i Paesi in via di sviluppo, questo non è il modo per farlo, specialmente alla luce del fatto che non abbiamo ancora approvato una legge sul cambiamento climatico».
Le organizzazioni ambientaliste Usa erano state informate che il Dipartimento di Stato stava contemplando un passo del genere e secondo loro l'amministrazione Obama vede l'accordo di Copenaghen e la promessa di 30 miliardi in aiuti climatici ai Paesi poveri come pacchetto combinato che servirà anche a mettere in riga quelli che si oppongono all'Accordo e che non beneficeranno dei fondi. Per Alden Meyer, direttore per il cambiamento climatico dell'Union of concernist scientist «Una tale politica rischia di infiammare ulteriormente le tensioni tra i Paesi industrializzati ed i Paesi in via di sviluppo che sono state un grande ostacolo per ottenere un accordo. Stanno giocando su una linea abbastanza dura. Ma può potenzialmente essere una strategia controproducente. Tagliare gli aiuti per l'adattamento ai Paesi che soffrono degli impatti del cambiamento climatico che sono in gran parte il risultato delle passate emissioni degli Usa e degli altri Paesi industriali rischia di farli apparire come i cattivi che giocano a fare i moralisti. Non è una strategia che permetterà di fare un buon gioco nei Paesi in via di sviluppo»
Probabilmente il boicottaggio dei fondi sul clima esporrà gli americani ad ulteriori critiche oltre a quelle già infuocate sul fatto che non stanno facendo molto per rispettare le proprie quota di aiuti: fino ad ora dagli Usa sono venuti contributi per poco più di un miliardo al fondo internazionale, molto sotto la quota prevista. La Bolivia ha naturalmente protestato subito contro la sospensione degli aiuti climatici Usa definendola «Una pratica molto cattiva», ma ha confermato che non cambierà le sue politiche sul global warming.
Il delegato boliviano a Bonn, Pablo Solon, ha detto che gli Usa avevano già ridotto i loro aiuti dopo che la Bolivia si era opposta all'adozione dell'Accordo di Copenaghen. Secondo Solon «Il valore dei negoziati viene messo in dubbio quando a chi dissente viene applicata la pressione finanziaria. La Bolivia vuole un nuovo testo per un accordo, non la fusione dei quel che è stato concordato a Copenhagen con le conclusioni del processo dell'Onu»
Ai Climate change talks di Bonn Bolivia e Venezuela (ma anche la Malaysia) non si sono fatti intimidire: hanno criticato l'Accordo di Copenhagen perché è stato elaborato da un gruppo di 28 nazioni al di fuori del processo dell'Onu e perché non è sufficiente a limitare gli aumenti della temperatura media globale a 2 gradi, anzi le farebbe aumentare di 5 gradi. Poi hanno rilanciato, chiedendo all'Onu di mettere da parte l'Accordo. Claudia Salerno, a capo della delegazione venezuelana, prima di abbandonare la riunione di Bonn ha detto che «L'accordo rappresenta gli interessi economici di pochi che vogliono impedire che si segua la strada di un ampio consenso democratico. Nessuno dovrebbe congratularsi con se stesso per questo»..
L'altro inviato speciale Usa per il cambiamento climatico Jonathan Pershing, ha risposto che l'Onu non dovrebbe «Tornare a dove eravamo si era in fase di stallo. Con l'accordo che abbiamo ottenuto, ogni Paese ha dato qualcosa, ma tutti abbiamo guadagnato qualcosa ottenendo un accordo che può essere attuato. Questo non dobbiamo lasciarlo cadere o perderlo», dalla sua parte si è schierata la delegazione dell'India. Più prudente la spagnola Alicia Montalvo che a Bonn rappresentava la presidenza di turno dell'Ue: «Ci rendiamo conto che abbiamo bisogno di migliorare ciò che facciamo in seno alla Convenzione. Abbiamo bisogno di ripristinare la fiducia nel processo delle Nazioni Unite e tra le parti». Ma l'eterna mediazione europea rischia di fare la fine del vaso di coccio tra i due vasi di ferro.
Come stanno le cose lo spiega sinteticamente Martin Kaiser, responsabile per la politica climatica di Greenpeace International: «La maggiore sfida per ogni negoziato è quella di definire un obiettivo. Sembra essere solo un accordo sul fatto che le "two tracks" continueranno», cioè che i prossimi Climate change talks si svolgeranno ancora secondo i due gruppi di lavoro ad hoc sul rispetto del Protocollo di Kyoto da parte dei Paesi sviluppati e sulla cooperazione internazionale a lungo termine. Ed anche i Paesi del G77 hanno avvertito gli Usa e gli altri Paesi ricchi: «Il solo luogo per i negoziati sul cambiamento climatico è il quadro dell'Onu».