[14/04/2010] News
LIVORNO. La decarbonizzazione dell'economia ha da venire. Lo si sapeva, non è una notizia, ma quando l'Aie fornisce i suoi numeri come ha fatto ieri (fonte Sole24Ore) lo iato tra le necessità del suddetto progressivo abbandono dell'utilizzo del petrolio e la realtà appare fortissimo nella sua evidenza. «La domanda di petrolio nel 2010 - scrive il Sole - non solo rimbalzerà dopo la recessione, ma raggiungerà livelli da record storico: 86,60 milioni di barili al giorno. La previsione giudicata troppo aggressiva da alcuni analisti è dell'Agenzia internazionale per l'energia (Aie), che ieri ha ulteriormente rivisto al rialzo, di 100mila bg (barili giorno, ndr), la stima sull'incremento della domanda, portandola a +1,67 mbg (milioni di barili giorno, ndr)».
Come spiega a greenreport il direttore scientifico del Kyoto Club Gianni Silvestrini «questo boom di consumi dipende dalla domanda cinese incrementata in modo elevatissimo negli ultimi tre mesi, così come quella dell'India e del Nord America».
Lo stesso spiegato David Fyfe, responsabile della divisione Industria e mercati petroliferi dell'Aie, sottolinea che «Ci sono segnali di ripresa in Nord America e nel Pacifico, in Asia e nel Medio Oriente, benché i consumi in Europa sembrino ancora deboli». E questo determinerà a parere dell'Agenzia già nell'attuale trimestre (aprile-giugno) una raffinazione «a livello globale di 72,9 mbg di greggio,1 mbg in più che nello stesso periodo dell'anno scorso e 300mila in più di quanto la stessa Aie aveva previsto un mese fa».
Non certo uno scenario da crisi energetica che tra l'altro non metterà in crisi l'offerta che «sarà più che adeguata per rispondere al fabbisogno. Le scorte sono tuttora a livelli superiori alla media degli ultimi cinque anni: in marzo sono anzi addirittura leggermente aumentate nei paesi Ocse (ora equivalgono a 60 giorni di consumi, contro 59,5 in febbraio)». Questo perché, ci ha detto sempre Silvestrini: «Durante la crisi sono molto aumentati gli stoccaggi ed è anche per questo che c'è grande disponibilità. Ma va detto che questa situazione è legata al lavoro degli impianti degli ultimi 5-10 anni, e da allora non si sono più fatti investimenti nella trivellazione per la ricerca di nuovi pozzi. Se quindi la domanda continua a crescere sarà nei prossimi tre quattro anni che potrebbero esserci dei problemi di disponibilità, diciamo nel medio periodo tra il 2013 e il 2016».
Nel frattempo però gli Usa hanno deciso di ripartire con nuove trivellazioni, e quindi secondo Silvestrini queste daranno eventuali risultati «non prima di una quindicina d'anni».
Il quadro però resta in chiaroscuro: la crisi non sembra aver scalfito minimamente o quasi il modello economico imperante ancora fortemente legato al petrolio. Quando si potranno, dunque, verificare i primi cambiamenti di rotta diventa così una domanda lecita. «Bisogna guardare al lungo periodo - dice Silvestrini - e vedere la dinamica della domanda e se le preoccupazioni della stessa Aie sul declino dei pozzi si verificherà. Quello che si può ipotizzare è un ritorno del prezzo del greggio nei prossimi 5 anni a 200 e più dollari al barile».
Altra riflessione giocoforza imposta è che il declino dell'economia occidentale che ha portato con sé un'emorragia di posti di lavoro, ma anche un taglio delle emissioni senza precedenti è stato «da quest'ultimo punto di vista - ha aggiunto sempre Silvestrini - ampiamente compensato dall'aumento della domanda nei trasporti di Cina e India. Quindi la riduzione dei consumi di greggio si avrà negli Usa, in Europa e in Giappone, mentre aumenterà in Cina e India».
E le alternative? «Servirebbe un governo della mobilità e un ruolo importante lo giocheranno i biocarburanti di seconda generazione».
L'accennato rischio che i prezzi del greggio - su cui grava, va detto con forza, anche una speculazione finanziaria che moltiplica all'infinito il numero di barili di greggio effettivamente prodotti - possano ulteriormente aumentare, è una delle preoccupazioni principali dell'Aie, come scrive anche il Sole: «il rischio, avverte nel rapporto, è che il caro greggio possa ‘fermare la ripresa economica nei paesi industrializzati o renderla meno legata ai consumi di petrolio di quanto già non prevediamo'. Una situazione che ‘in fin dei conti potrebbe diventare problematica anche per i produttori'».
Ecco, la sostenibilità del pianeta dal punto di vista energetico si giocherà molto sull'interpretazione da dare a questa frase suddetta dell'Aie sul rendere la ripresa economica «meno legata ai consumi di petrolio di quanto già non prevediamo». Se esiste questa volontà e se si costruirà un governo mondiale in grado di agire questa volontà, la progressiva uscita di scena in tempo utile del petrolio dall'economia planetaria sarà una cosa fattibile. Diversamente ci sarà da aspettare il declino del petrolio in senso fisico e qui i tempi sembrano assai più lunghi del previsto, senza considerare allora che c'è ancora gas e carbone soprattutto in abbondanza. E', dunque, soprattutto un problema di scelta. L'umanità è in grado di trarre il dado?