[03/05/2010] News toscana
Con l'inizio della legislatura regionale, si apre un nuovo ciclo della programmazione in Toscana. Nessun ciclo è uguale al precedente, ma questo ha senza dubbio caratteristiche eccezionali: è la programmazione del dopo crisi, anzi ancora programmazione nella crisi che farà sentire i suoi effetti per tutto l'arco temporale del nuovo ciclo (2011-2015), anni di ripresa lenta e - come ci ammonisce ora il caso della Grecia - di crescita incerta.
Programmare nella crisi significa essenzialmente che i tempi della programmazione dovranno essere drammaticamente compressi. E' semplicemente impensabile che si debbano attendere due anni (questa sarebbe la tempistica "ordinaria" sulla base dell'esperienza della passata legislatura) per definire PRS e piani di settore e rendere pienamente operativa la strategia con cui la Regione affronterà la difficile ripresa.
La programmazione ha reso in passato un ottimo servizio alla qualità delle politiche regionali. Questo è fuori discussione. E' il contesto che è cambiato. L'attesa dell'economia e della società regionali di una risposta forte e orientata al futuro da parte della politica non può essere prolungata. Le fondamenta di una Toscana diversa, coesa, sostenibile e competitiva si devono gettare oggi. Ed un processo di programmazione troppo articolato e troppo lento finirebbe solo per fornire degli alibi ad eventuali indecisioni della politica.
Concretamente si deve quindi auspicare un netto snellimento del processo di programmazione e probabilmente la rinuncia almeno in parte all' esprit de géométrie che una tradizione programmatoria nobile e di elevata qualità, come è quella toscana, ha saputo infondere ai propri documenti con una sapienza talora ammirevole. Una programmazione meno elegante e più asciutta può essere per altro anche una programmazione meglio comunicabile, capace di motivare con i contenuti invece di confondere con una selva di acronimi.
Nondimeno rimangono aspetti della programmazione a cui proprio in questi anni sarebbe pericoloso rinunciare. La crisi infatti non è senza influenza sulla qualità delle politiche, che tendono ad essere puramente reattive, frammentate, estemporanee, roboanti negli annunci quanto spesso non conseguenti nei fatti. Non si può allora rinunciare ad affermare l'esigenza di una pratica di razionalità e di sistematicità nelle politiche pubbliche, che significa non solo maggiore efficacia ed efficienza, ma anche leggibilità, trasparenza e quindi opportunità di controllo democratico.
La programmazione è poi anche luogo e tempo di partecipazione e di costruzione del consenso. Nei momenti della crisi si è tentati a sbarazzarsi delle concertazioni, ma ciò indebolisce l'impulso alle scelte più difficili. Di concertazione quindi c'è ancora bisogno, non certo quella dei rituali con cui i diritti di veto si trasformano in diritti a sussidi e protezioni, ma la concertazione dei comportamenti e degli impegni per una finalità collettiva condivisa.
La programmazione è infine condizione perché le politiche possano essere correttamente valutate: prima della decisione, per decidere meglio; durante e dopo l'azione, per trarne insegnamenti ed "aggiustare il tiro". E di valutazione oggi abbiamo ancora più bisogno, perché sono necessari ma non bastano i monitoraggi di performance del "governo - azienda" (come sembra suggerire un certo managerialismo di maniera) e perché delle politiche bisogna invece poter cogliere l'insieme degli impatti, sia economici e sociali sia propriamente politici, dagli effetti di apprendimento (cruciali in un'età di incertezze) a quelli di costruzione di nuovi schemi di coesione sociale.