[03/05/2010] News

Produzione di uranio: la Namibia quarta, ma non applica la Via

LIVORNO. Secondo la World Nuclear Association, la Namibia ha mantenuto il quarto posto al mondo come produttore di uranio per il secondo anno consecutivo, contribuendo al 9% della produzione mondiale del 2009. Il Paese Africano nel 2008 aveva superato la Russia come quarto più grande fornitore mondiale di  ossido di uranio. Nel 2009 la produzione mondiale di uranio è cresciuta del 15% rispetto al 2008, raggiungendo le 50.572 tonnellate, in Namibia è aumentata del 6%, fino a 4.626 tonnellate.

Il Kazakistan è diventato il primo produttore mondiale, superando il Canada, aumentando la sua produzione del 62% fino a 13.820 tonnellate. Il Canada, invece, è riuscito ad aumentare la sua produzione "solo" del 13%, per un totale di 10.173 tonnellate. L'Australia rimane al terzo posto, nonostante un calo del 6%, con 7.928 tonnellate di uranio prodotte, ma la Namibia conta di scavalcarla entro il 2015, diventando il terzo più grande fornitore al mondo di ossido di uranio.

Secondo quanto ha spiegato a giornale Namibian Luise Nakatana, un'analista dell'Investment House Namibia, le ambizioni potrebbero essere eccessive: «L'ultima revisione del settore locale dell'uranio dimostra che le proiezioni della Namibia per il 2015 equivalgono a circa 52 milioni di sterline, che sono circa il 40% dell'attuale produzione mondiale». Nel suo rapporto annuale pubblicato recentemente, la Bank of Namibia (Bon)  dice che per l'uranio si prevede un eventuale sorpasso sulle miniere di diamante significativo rispetto alla crescita di prodotto interno lordo (Pil),  export e creazione di posti di lavoro.

Attualmente in Namibia le due miniere di uranio in produzione più grandi sono la Rio Tinto Rössing Uranium (Nella foto) e  Langer Heinrich della Paladin, con un produzione di uranio valutata tra i 9 e i 12 milioni di sterline per la Rio Tinto e tra i 3 e i 6 milioni di sterline per la Paladin. Secondo il giornale Namibiam le miniere di uranio del Paese dell'Africa australe fanno gola a molti: entro il 2012 dovrebbe produrre uranio per 2,9 milioni di sterline all'anno la miniera di  Valencia e 8 milioni quella Trekkopje, dove sono presenti i francesi di Areva che contano di avviarla nel 2012, con una produzione di 3.000 tonnellate all'anno, mentre  Etango dovrebbe avviare la produzione nel 2013, con un obiettivo di  6,5 milioni di sterline. La Rössing Sud che è pronta per diventare la più grande miniera di uranio della Namibia ed una delle più grandi del mondo, dovrebbe avviare la produzione nel 2013, immettendo sul mercato fino a 15 milioni di sterline di ossido di uranio, all'affare ed alle concessioni in una delle aree più belle del deserto del Kalahari sono interessati anche britannici, canadesi, russi, cinesi, giapponesi, sudcoreani e indiani...

Mentre la Namibia mostra orgogliosa i suoi gioielli nucleari, c'è qualcosa che non funziona, e qualcosa di molto grosso e preoccupante: l'Environmental Management Act, approvato dal parlamento di Windhoeck  nell'ottobre 2007, non è stato ancora emanato, anche se il ministro dell'ambiente e del turismo è tornato a chiederne il rispetto solo pochi giorni fa. Il direttore degli Environmental Affairs della Namibia, Teo Nghitila, in un workshop tenutosi a Waterberg ad aprile, dove ha presentato le politiche di protezione ambientale del governo, ha cercato di tranquillizzare: «Questa legge non è stata ancora emanata, ma molte persone stanno aderendo alle sue disposizioni». La cosa è però più che sospetta, perché il ritardo nell'emanazione di una legge approvata coincide proprio con il rilascio di grandi, a volte gigantesche, concessioni minerarie ad alto rischio di inquinamento radioattivo, in aree di grande importanza naturalistica e dove abitano popoli autoctoni come i boscimani. Tra l'altro, l'Environmental Management Act obbliga le aziende, una volta cessate le attività estrattive, a fornire garanzie finanziarie per la bonifica dei siti minerari mentre dovranno essere sottoposti a valutazione di impatto ambientale sia i progetti di apertura di nuove miniere che quelli di dismissione.

Nghitila ha ammesso che, anche se secondo lui la legge viene rispettata "volontariamente", «L'unico problema è che il ministero non può ancora perseguire qualcuno per il non rispetto di questi termini. Si può fare riferimento ad essa, ma non si può portare una persona in tribunale. Abbiamo quasi ultimato i regolamenti».

Non si capisce come e chi, in questo povero e poco popolato Paese africano, svolga i controlli sulle attività di ricchissime e potenti multinazionali minerarie: secondo la legge, una Commissione ambiente dovrà essere istituita per far rispettare la legge, ma sarà operativa solo dopo la pubblicazione dei regolamenti sulla Gazzetta Ufficiale, solo allora le miniere dovranno presentare una Via ogni tre anni e fornire garanzie  finanziarie per il recupero ambientale delle aree minerarie a fine attività.

Fino ad oggi il recupero dei  vecchi siti minerari abbandonati senza nessuna protezione dalle industrie minerarie era stato un vero e proprio rompicapo per il governo di Windhoeck, l'impressione è che gli interressi in ballo richiederanno ben altro che una legge in ritardo e gli impegni volontari dell'industria dell'uranio o operazioni di greenwashing a vantaggio delle multinazionali, come quella effettuata dalla solita Areva con la costruzione di un dissalatore che produrrà circa 20 milioni di metri cubi di acqua potabile all'anno, sufficienti per permettere ai francesi di sfruttare la loro miniera di uranio a Trekkopje, senza pompare acqua dalle scarse falde idriche di un Paese desertico. L'amministratrice delegata di Areva, Anne Lauvergeon ha detto che «L'impianto di desalinizzazione, che è di proprietà congiunta di Areva e dell'impresa locale United Africa Group, sarà anche in grado di fornire circa 6 milioni di metri cubi di acqua ogni anno per altre miniere della regione namibiana di Erongo». Poi ha aggiunto magnanimamente premurosa che l'azienda idrica statale, la Namwater, «Potrà acquistare l'acqua in eccesso per rifornire le altre miniere, assicurando che la carenza d'acqua non danneggi le forniture di uranio».

L'idea di dissalatori alimentati da impianti nucleari o energie rinnovabili era stata rilanciata durante al Water Global Summit 2010 a Parigi, Imad Makhzoumi, presidente dell'International desalination association, aveva detto a Water and wastewater international (Wwi): «Il nucleare sta vivendo una rinascita. Dobbiamo arrivare ad un settore nucleare, prendendo in considerazione tutti i progetti, che tenga conto in maniera appropriata della dissalazione». E Dan McCarthy, presidente della multinazionale dell'acqua  Black & Veatch, aveva aggiunto: «Ho sentito i leader dell'energy business dire che il settore dell'energia nucleare sarà una gran parte del loro portafoglio per il futuro. Pensiamo che combinarlo con l'osmosi inversa, con la Forward osmosi o con una qualsiasi delle altre tecnologie, potrebbe essere un modo abbastanza efficace per fornire l'approvvigionamento idrico». Così l'industria nucleare produrrà le enormi quantità di acqua necessarie all'estrazione dell'uranio e se la ripagherà vendendola alle comunità locali, con una tripla privatizzazione delle risorse: del territorio, dell'uranio e dell'acqua.

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