[04/05/2010] News
ROMA. Si dice che le leggi dell'ecologia, a differenza di quelle della fisica, sono "dipendenti dalla scala". Mentre la legge di gravità vale - a quanto se ne sa - a ogni scala e in ogni parte dell'universo, la legge secondo la quale la diffusione delle specie dipende dalla competizione degli individui per accaparrarsi risorse finite vale a piccola scala, in un ecosistema limitato, ma non a grande scala, non a livello di un'intera nazione.
Nessun dubbio che esiste una differenza epistemologica tra la legge fisica della gravità, che è deterministica e invariante (quasi) a ogni scala - si potrebbe dimostrare che alla scala di Planck, in cui diventano determinanti i fattori quantistici, anche la legge di gravità si modifica - e le leggi dell'ecologia, che sono probabilistiche e valgono solo entro certi livelli dimensionali.
Consideriamo i fattori che determinano la distribuzione e l'abbondanza degli organismi viventi, per esempio. Ebbene - come ricorda sulla rivista Science Brian J. McGill della School of Natural Resources, University of Arizona, di Tucson negli Stati Uniti - ne possiamo individuare almeno quattro principali. Il clima, che consente all'orso bianco di vivere oltre il circolo polare artico ma non all'equatore. La dispersione casuale, che determina - a caso, appunto - chi giunge per prima a colonizzare un nuovo ambiente, realizzando così un «accidente congelato».
L'interazione interspecifica (malattie, competizione, predazione) che determina quale specie e come sopravvive in un certo ambiente in presenza di un'altra. Infine l'habitat: ovvero l'ambiente adatto a una specie, che fa sì che un alligatore viva e si riproduca nelle paludi e non nel deserto.
Gli ecologi si sono sempre chiesti quale di questi fattori è più importante. In realtà occorre chiedersi, sostiene McGill, quale di questi fattori è più o meno importante a una certa scala.
Ciascuno di questi fattori ha una forza diversa a scala diversa. Il clima, per esempio, agisce a grande scala: alla scala continentale. La competizione, invece, agisce solo a piccola scala: per gli uccelli è una scala di pochi chilometri, ma non ha influenza a scala più grande, la scala di una intera nazione. O, almeno, così si credeva. Perché in un recente articolo, Macroecological signals of species interactions in the Danish avifauna, pubblicato sui Proceedings of the National Academy of Sciences tre ricercatori Nicholas Gotelli, Gary Graves e Carsten Rahbek hanno dimostrato che la competizione determina la distribuzione delle varie specie di uccelli in tutta la Danimarca, ovvero a una scala che è di centinaia di chilometri.
Ma, sostiene McGill, noi sappiamo che la competizione non ha influenza sulla distribuzione delle specie di uccelli alla scala di un bioma (ovvero in aree di lati compresi tra 500 e 1.000 chilometri).
Questo tipo di ricerche, attive solo da poco tempo, consente di definire con una certa precisione la «varianza di scala» dei fattori che determinano la diffusione e l'abbondanza delle specie. E, quindi, rende l'ecologia una scienza sempre più quantitativa. E matematizzabile.
Un processo che non è importante solo a livello epistemologico. Ma anche a livello applicativo. La conoscenza sempre più precisa dei fattori che governano la diffusione delle specie sulla Terra ci consente, almeno in linea di principio, di tutelarne meglio la sopravvivenza.