[04/05/2010] News
LIVORNO. Mentre la piattaforma offshore della Bp affondata nel Golfo del Messico continua a vomitare migliaia di litri di greggio in mare e il maltempo rende vane le barriere anti-petrolio, mentre le isole e le paludi della Louisiana assorbono l'urto di una marea nera che non potrà essere mai davvero ripulita dal dedalo di canali ed insenature e dai fondali fangosi, è sempre più evidente che la British Petroleum e i funzionari del governo Usa non avevano pronto un vero piano per affrontare una catastrofe di tale portata.
Secondo Raleigh Hoke, responsabile per il Mississippi del Gulf Restoration Network (Gnr) «la fede cieca nell'impossibilità che questo accadesse, per poter fare una grande abbuffata nelle acque profonde, unita gli sforzi per premere per controlli di sicurezza e ambientali meno restrittivi sulle piattaforme off-shore, sembra essere stata all'ordine del giorno. La cassetta degli attrezzi e delle opzioni per gestire il disastro della perforazione petrolifera della Bp è molto piccola, e nessuno di loro è buono per la salute del Golfo del Messico e dei suoi abitanti. Purtroppo, non ci resta che scegliere tra queste opzioni quella che sia la meno cattiva».
Secondo Hoke «Una di queste opzioni "meno peggio" è l'utilizzo del "in-situ burns", letteralmente bruciare il petrolio al largo sulla superficie dell'acqua». Una tecnica già usata e che ha suscitato le aspre critiche di molti esperti perché questo metodo influisce negativamente sulla qualità dell'aria, sui mammiferi marini e selle altre forme di vita dell'oceano, ma per il Gnr in questo momento potrebbe evitare che una grande quantità di petrolio raggiunga i fragili ecosistemi costieri.
Anche Hoke ammette che però «In pratica, l'utilizzo di questo metodo per affrontare il disastro della perforazione petrolifera della Bp ha avuto scarso successo. In parte il problema è legato alle acque agitate ed al livello di dispersione del petrolio. Un'altra grande parte del problema è che le squadre di pulizia di governo e Bp hanno in realtà un unico "fire boom", un'attrezzatura essenziale per bruciare il petrolio. Secondo un recente articolo del Mobile Press-Register, il governo aveva progetti di ampio respiro per utilizzare questo metodo per le fuoriuscite di petrolio nella costa del Golfo, ma non si è mai preso la briga di acquistare un qualsiasi fire boom . Quindi, cosa sarebbe il piano D della Bp e del governo?».
Che la Bp non avesse un piano di intervento per simili disastri lo dicono i suoi stessi documenti, come fa notare anche Robert Wiygul, del consiglio del Gnr e noto environmental attorney della costa del Mississippi: «Il piano federale registrato dalla Bp, che include lo sviluppo di questo giacimento di petrolio, non prevede nessun piano per affrontare la scenario previsto per il caso peggiore, come la quello che attualmente minaccia la costa centro-settentrionale e le comunità del Golfo».
La cosa è confermata da una dettagliata inchiesta dell'Associated Press pubblicata il primo maggio con il titolo "Document: BP didn't plan for major oil spill" che rivela: «Bene, il piano della Bp depositato presso il Federal Minerals Management Service per la Deepwater Horizon, datato febbraio 2009, dice più volte che "è improbabile che con le attività proposte si possa avere una accidentale fuoriuscita di petrolio in superficie o sotto la superficie". E mentre la società ammetteva che una fuoriuscita potrebbe "causare un impatto" per le spiagge, rifugi della fauna selvatica e aree wilderness, sosteneva che "a causa della distanza da riva (48 miglia) e della capacità di risposta che verrà attuata, non è previsto nessun impatto significativo"».
«Nessun impatto significativo? - si chiede arrabbiato e scandalizzato Aaron Viles, direttore della campagne del Grn - Con lo stato di emergenza dichiarato in Louisiana, che i federali definiscono "di importanza nazionale", adesso è difficile sostenerlo. Naturalmente, questo piano di sviluppo è stata presentata sotto l'Amministrazione Bush, che ha portato il Minerals Management Service a credere in un approccio collaborativo con l'industria, che ha portato direttamente a questa crisi del Golfo del Messico».
Nelle 52 pagine del piano e nella valutazione di impatto ambientale, la Bp dice ripetutamente che era improbabile, o praticamente impossibile, che si verificasse un incidente con uno sversamento di petrolio tale da provocare gravi danni alle spiagge, ai pesci, ai mammiferi marini e alla pesca. Esattamente quello che è successo. Ora il portavoce della Bp, David Nicholas, afferma che «Chiaramente, il tipo di evento che abbiamo visto sulla Deepwater Horizon è senza precedenti. E' qualcosa di cui chiaramente non avevamo fatto esperienza prima ... un blowout a questa profondità». I "chiaramente" si sprecano, ma è chiaro solo che la Bp brancola nella nebbia della sua presunzione tecnologica.
Wiygul spiega che nel documento non c'è niente che suggerisca che la Bp avesse a disposizione il tipo di tecnologia necessaria per controllare una incidente a quella profondità: «Il punto è: se si va a fare una trivellazione petrolifera in 5.000 piedi d'acqua, dovresti essere in grado di controllare quel stai facendo».
Intanto viene fuori anche uno studio del 2007 dal Federal Minerals Management Service, che ha esaminato i danni causati tra il 1992 e il 2006 dalla trivellazione di 39 pozzi nel Golfo del Messico, scoprendo che le operazioni finali di consolidamento della testata del pozzo (come quella tragicamente fallita della Deepwater Horizon) hanno contribuito a 18 degli incidenti. Secondo l'Mms «In tutti i casi, si sono verificate infiltrazioni di gas durante o dopo la cementazione delle tubazioni dei pozzi».