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[14/05/2010] News
FIRENZE. Nella fase attuale, in cui al costante incremento delle evidenze scientifiche in termini di criticità del problema del climate change e di significatività del ruolo antropico in esso, corrisponde una diffusa perdita di credibilità da parte di alcuni organismi scientifici causata da una parte da errori compiuti nelle ricerche, dall'altra dalle riuscite campagne denigratorie (prima tra tutti, naturalmente, il cosiddetto "climategate"), la comunità scientifica-climatologica sta affrontando un serrato dibattito riguardo al modo migliore per superare l'impasse.
E, com'è ovvio, ciò passa sia per l'ambito scientifico (in direzione non solo di studi più evoluti, ma anche di una maggiore trasparenza di essi e dei dati disponibili per il pubblico) sia - e forse soprattutto - per l'ambito comunicativo. In questo senso, uno degli elementi che più compromettono la "buona comunicazione" scientifica in campo climatologico (e non solo) è sicuramente rappresentato dalla non-uniformità dei dati disponibili.
Esempio lampante di quanto affermato è la presenza di diversi database climatici, che forniscono fotografie dei trend delle temperature che sono leggermente, ma significativamente, diverse tra loro: anche nei tre database che la World meteorological organization (Wmo) riunisce nel pubblicare le sue valutazioni annuali del trend di temperatura terrestre, alcuni valori divergono, sia per le temperature dei decenni passati (il che è comprensibile) sia per gli anni recenti, elemento questo che crea significativi difetti soprattutto in termini comunicativi.
Per fare un esempio, si consideri la valutazione (non significativa in termini climatologici, ma di dimostrato impatto mediatico e dibattimentale) su quale sia stato l'anno più caldo dall'inizio delle misurazioni moderne: alla domanda, un ricercatore della Climate research unit (Cru) inglese risponderebbe, riferendosi al proprio database, "il 1998", uno del Goddard space (Giss) della Nasa "il 2005", mentre un climatologo del National climate data center (Ncdc) della Noaa avrebbe difficoltà a dare una risposta univoca, poiché nel database Noaa la temperatura del 1998 è stata pressoché identica a quella del 2005.
E alla divergenza tra i database storici corrisponde anche una difformità tra le banche dati destinate al rilevamento delle temperature globali in tempo reale: non esiste, cioè, un "database unico" delle temperature, e questo comporta, in termini di attendibilità, credibilità e uniformità di questo ambito di informazione scientifica, un deficit significativo, che poi in primo luogo causa un (ulteriore) indebolimento delle politiche di contrasto/adattamento al gw, che pongono le loro fondamenta in primo luogo su un'informazione climatica che anzitutto sia il più possibile oggettiva, ma anche che sia percepita come tale da parte dell'opinione pubblica, dei media, degli stessi decisori politici.
Ma, almeno da questo punto di vista, è in corso una evoluzione, anche in conseguenza degli accordi intrapresi tra diversi enti di ricerca in occasione della conferenza della Commissione climatologia della Wmo tenutasi ad Antalya (Turchia) nello scorso febbraio: in uno studio pubblicato il 12 maggio su "Nature", due climatologi (Peter Stott del Met-office britannico, e Peter Thorne del Cooperative institute for climate and satellites - Cics - della Noaa) hanno evidenziato le prospettive e le metodologie da compiersi per giungere ad un database unificato delle temperature globali. In un comunicato del Met-office relativo alla ricerca, i due studiosi sostengono infatti che «ciò che ora è essenziale per la comunità climatologica è far affluire tutte le misurazioni quotidiane e sub-quotidiane delle temperature all'interno di un unico database globale, in una maniera completa e trasparente». I risultati derivanti dalle query richieste ai database «mostreranno così le variazioni di temperatura su scala oraria ed entro distanze di pochi km»: secondo i ricercatori, «dati di scala così ridotta sono determinanti per monitorare e prevedere effetti climatici locali».
Il "database unico" riunirà i rilevamenti provenienti (vedi immagine) da oltre 6000 stazioni già attive nei quattro angoli del pianeta: il progetto sarà discusso e definito più approfonditamente nel corso di un workshop che si terrà a settembre, presso il quartier generale del Met-office situato presso la città di Exeter.