[07/08/2009] News

Economia ecologica? 'Niet' in Russia, 'No dear' all'isola di Wight

LIVORNO. Senza voler far quelli che cadono dal pero, arrivano due notizie da due parti del mondo che ci paino significative della logica di dove va il mercato e di come questo, se non orientato, ben poco abbia a che vedere con la sostenibilità sia ambientale sia sociale. Le due storie si somigliano perché entrambe parlano di lotta per il posto di lavoro ai tempi della crisi ed entrambe al motto di "nazionalizzate o governi" la fabbrica per porre rimedio al disastro occupazionale conseguente alla sua chiusura, ormai annunciata o possibile. La prima vertenza è quella di Avtovaz, cui dà notizia il Sole24Ore, gli impianti della ex Fiat nella città di Togliatti in Russia dove gli stipendi sono stati dimezzati. Quella che appariva la fabbrica di auto più promettente d'Europa, infatti, è in ginocchio a causa della crisi di vendite. Nell'Avtovaz lavorano qualcosa come 110mila operai, una città praticamente, e tanto la fabbrica era vista di buon occhio dal mercato che la Renault l'anno scorso ne aveva acquistato il 25% per un valore di 1.7 miliardi di dollari. Ma come dice il Sole ai russi le auto della Avtovaz, a partire dalla Lada, non piacciono e con la crisi la produzione è già stata fermata diverse volte. Si parla di 27mila licenziamenti (la proprietà però smentisce), ma intanto gli stipendi sono stati dimezzati e il sindacato Unità - ieri manifestazione con 5mila persone in strada - ha chiesto la nazionalizzazione della fabbrica perché «gli impianti appartengono allo Stato, non ai privati».

Vecchi slogan anni 70 che tornano prepotentemente anche nell'altra vertenza, stavolta in Inghilterra e precisamente all'isola di Wight. La differenza sostanziale però è che qui va in crisi (anzi è andata in crisi) persino quello che sembrava un barlume di green economy, cosa che complica maledettamente tutto il quadro. Sulla famosa isola, resa celebre anche da una canzone, la Vestas aveva costruito un impianto per fabbricare pale eoliche. Oltre seicento i posti di lavoro, ma...ha deciso, ci informa il Manifesto, «che poteva fare più profitti (nonostante sia una società molto redditizia, ndr)  costruendo le turbine eoliche in America o in Cina». Così giù la saracinesca e tutti a casa, ma anche qui i lavoratori hanno detto no e si sono barricati nell'impianto. Ne è nato quasi un movimento in queste settimane di occupazione e poi è arrivata la lettera degli operai al governo: «la settima scorsa parlavate di voler creare 400mila posti di lavoro ‘verdi': come può iniziare questo processo con la perdita del posto di lavoro per 600 di noi? Non siamo sicuri di cosa ne pensiate voi ma noi pensiamo che se il governo può spendere miliardi per il salvataggio delle banche - e anche nazionalizzarle - può sicuramente fare lo stesso con la Vestas». Non si può certo dar loro torto, ma intanto la fabbrica è chiusa e nessuna risposta è ancora arrivata dal governo. Come si vede l'economia fa da sé e solo incidentalmente può far collimare la sostenibilità ambientale con quella sociale. Nazionalizzare una fabbrica forse è un'idea un po' retrò (ne siamo sicuri?) ma se davvero la green economy è l'orizzonte non si vede come si possa far a meno di porre da parte dei governi almeno delle regole volte al riorientamento del mercato.

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