[27/05/2010] News toscana

Firenze: nasce il “Coordinamento toscano per il «no» al nucleare”

FIRENZE. «La Toscana è la prima regione a livello nazionale in cui si consolida un coordinamento interassociativo che dice un "no" chiaro alla scelta nuclearista del Governo»: è quanto afferma in un comunicato il "Coordinamento toscano per il ‘no' al nucleare", sigla che riunisce 16 tra associazioni ambientaliste e/o di tutela territoriale e paesaggistica (Ambiente e lavoro, Amici della terra, Fare verde, Forum ambientalista, Greenpeace, Italia nostra, Legambiente, Terra!, Wwf e Rete dei comitati per la difesa del territorio) insieme ad Arci, Libera, Medicina democratica, Cittadinanzattiva, International society of doctors for the environment e all'associazione "Mondo senza guerre e senza violenze".

La prima riunione operativa del neo-formato Coordinamento ha avuto luogo oggi a Firenze, dove sono stati anche presentati due documenti, uno riguardante i «dieci motivi per opporsi al nucleare» e l'altro incentrato su una più approfondita trattazione delle tematiche inerenti all'energia nucleare, che ha preso il nome di "Le tante facce del nucleare".

Una scelta, quella del ritorno al nucleare italiano voluta dal Governo Berlusconi, che in un comunicato gli aderenti del Coordinamento definiscono «vecchia, diseducativa, antieconomica» e che «ha il demerito storico di procrastinare ancora l'affermazione del risparmio e dell'efficienza energetica nei settori civile, industriale, trasportistico e lo sviluppo delle fonti rinnovabili secondo una seria pianificazione e nel rispetto della vocazione dei territori».

Ma quali sono i "10 buoni motivi" per i quali secondo il Coordinamento il nucleare è una scelta insensata? Anzitutto il fatto che la trasformazione dell'energia contenuta nell'atomo porta alla produzione di «sola energia elettrica, che è meno di 1/5 dei consumi energetici di ogni paese». La scelta del nucleare, quindi «non riduce la dipendenza dal petrolio: la Francia produce il 78 % dell'energia elettrica dal nucleare, ma importa più petrolio di noi, ed ha i consumi di petrolio pro capite più alti d'Europa».

Altro problema determinante riguarda la disponibilità di uranio, che «ai consumi attuali si esaurirà in pochi decenni », e il cui mercato «è dominato da una lobby molto ristretta: sette società controllano l'85% dei giacimenti mondiali e quattro società forniscono il 95% dei servizi di arricchimento. Inoltre l'Italia non possiede uranio e dipenderà completamente da altri paesi per il suo approvvigionamento».

Riguardo ai costi, il documento afferma giustamente che «una valutazione realistica dei costi del nucleare deve tener conto non solo della costruzione delle centrali ma dell'intero ciclo di vita, con particolare riguardo ai costi differiti dovuti al deposito delle scorie e allo smantellamento delle centrali di cui non si conosce ancora l'esatta incidenza. Considerati gli enormi costi di costruzione, le centrali nucleari non sono un affare per i privati a meno di ricevere ingenti sovvenzioni dallo stato».

Altre questioni da evidenziare, e che invece passano sotto traccia nel dibattito sull'atomo, riguardano l'equivoco riguardo alla presunta "non-emissione" di CO2 da parte degli impianti nucleari: ciò vale, viene ricordato, solo per il processo di fissione, cioè per la parte conclusiva di una filiera che prevede emissioni climalteranti in tutte le altre fasi, cioè nel percorso che va «dall'estrazione e lavorazione dell'uranio, all'arricchimento (l'impianto di Paducah, nel Kentucky, utilizza due centrali a carbone da 1000MW), alla costruzione della centrale (che richiede enormi quantità di cemento e acciaio) fino alle fasi di stoccaggio delle scorie e di demolizione della centrale».

Tra le altre criticità sottolineate dagli aderenti al Coordinamento sono compresi anche i problemi sanitari, in quanto «si accumulano studi scientifici che dimostrano aumenti di leucemie infantili ed altre malattie nelle popolazioni che vivono attorno alle centrali nucleari. Segno evidente che rilasci radioattivi si verificano nel normale funzionamento dei reattori, anche se ufficialmente vengono sottaciuti. Questi si aggiungono ai rilasci inevitabili nei frequenti incidenti (spesso minimizzati o negati dalle autorità), sommandosi ad altri inquinanti».

C'è poi il cronico problema delle scorie, questione per cui «nessun paese ha ancora trovato una soluzione sicura» e riguardo al quale si sono conseguentemente attivati, fin dai decenni scorsi, «traffici illegali per lo smaltimento nei paesi del terzo mondo». E a questo va aggiunto l'ambigua relazione tra nucleare militare e civile, in quanto secondo il Coordinamento «la tecnologia nucleare è intrinsecamente dual-use», cioè «non è possibile separare le applicazioni civili da quelle militari», e di conseguenza è prevedibile che «la diffusione nel mondo di programmi nucleari aumenterà indubbiamente i rischi di proliferazione militare».

Il documento punta poi a sfatare una delle considerazioni che più spesso vengono sostenute dai "fan" di un ritorno al nucleare italiano, e cioè la presunta "necessità", per l'Italia, di importare energia dalla Francia. Secondo il Coordinamento, in realtà «la potenza elettrica installata in Italia era nel 2008 di 98.625 Mw, a fronte di un picco di domanda di 55.292 (il massimo storico era stato raggiunto nel 2007 con 56.822 Mw), dando luogo alla maggiore eccedenza tra tutti i paesi europei». L'importazione di energia da Oltralpe, si sostiene, è legata al fatto che «la Francia "svende" energia elettrica nelle ore di calo della domanda, perché il sistema nucleare è rigido e non si adatta alle variazioni di carico; in compenso, in momenti di picchi eccezionali di domanda è costretta ad importare energia elettrica, a caro prezzo, dai paesi confinanti».

Viene poi sfatata anche l'ipotesi che un rilancio del nucleare italiano potrebbe ridurre la dipendenza del Belpaese dal petrolio: è infatti affermato che l'Italia «importa quasi tutto il petrolio, che viene utilizzato - con grandi sprechi - in usi in cui non è sostituibile dal nucleare: circa un terzo, per un sistema dei trasporti totalmente sbilanciato sul trasporto su gomma e privato, buona parte per il riscaldamento di edifici costruiti senza isolamento termico, e altre importanti quote per attività produttive energivore, che producono male e in modo inefficiente».

Infine, il Coordinamento accenna alle questioni dell'efficienza e della partecipazione civica nella localizzazione degli impianti, in quanto gli enormi capitali mossi dal nucleare richiederebbero «l'esistenza di un sistema economico e politico di gestione degli stessi assolutamente trasparente», ma «sappiamo bene che così non è, e quanto sia frequente che intermediari senza scrupoli (quando non addirittura la criminalità organizzata) si inseriscano nell'attribuzione degli appalti in maniera illecita». Inoltre, sussiste la questione della "deroga" al principio di sussidiarietà Stato-regioni riguardo al nucleare, cioè il fatto che «con l'entrata in vigore della Legge Sviluppo (luglio 2009), lo Stato potrà avvalersi dei poteri sostitutivi nei confronti delle regioni in materia di energia (aspetto per cui molte regioni hanno fatto ricorso), equiparando di fatto i siti scelti per le centrali alle aree militari d'interesse strategico. Con grave detrimento dei principi di partecipazione democratica nella condivisione delle localizzazioni».

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