[10/08/2009] News

Dopo il consumatore cicala, il consumatore sostenibile? Sì, no, forse

LIVORNO. La parola "crisi" scritta in cinese - come viene spesso ricordato - è composta di due caratteri: uno rappresenta il pericolo e l'altro l'opportunità. Per quanto riguarda i consumi e il loro impatto sulla sostenibilità ambientale e sociale - appare evidente - la crisi è senz'altro sia un pericolo sia un'opportunità, come ben si evince anche dall'ultima analisi della Consumer and shopping insight della McKinsey di cui parla oggi il Sole24Ore e che narra della supposta ‘scomparsa' del consumatore cicala. I consumatori medi, infatti, gli homines oeconomici come li chiama Magrini (autore del pezzo), starebbero cambiando pelle a causa della recessione. Come? Risponde Georges Desvaux, capo della Consumer: «genericamente spendendo di meno, ma sostituiscono anche i beni di consumo solo quando ce ne è bisogno, adottando soluzioni fai-da-te, fanno più attenzione al valore intrinseco dei beni e servizi e, come costume dei tempi, usano internet per trovare i prezzi migliori».

Avendo chiaro che dietro i consumi ci sono flussi di materia e di energia e consumi ridotti significa di conseguenza abbassare l'impatto antropico sul pianeta, il punto è capire proprio cosa accadrà dopo la crisi. Se tutto ripartirà, come in molti vogliono, tale e quale al pre-crisi - che sarebbe bene ricordare non era il migliore dei momenti economici della storia e le economie occidentali andavano avanti a zerovirgola... - per la sostenibilità ambientale ad esempio cambierà niente. Statisticamente resterà un periodo durante il quale emissioni, consumi energetici e rifiuti si saranno contratti a causa della crisi e nulla più. Se invece, come sostiene Desvaux, nel caso in cui «la fase recessiva andrà avanti ancora a lungo con effetti negativi sul potere d'acquisto ci sono buoni motivi per ritenere che le nuove abitudini si radicheranno», c'è la possibilità che quelle statistiche migliorino davvero in modo duraturo.

Semplice no? No, perché la realtà è un po' diversa. Il mercato risponde ai bisogni che i consumatori esprimono, ma questi sono spesso indotti da un bombardamento mediatico capace di non scalfirli comunque in una fase recessiva, ma magari ri-stimolarli facilmente nel caso di una lunga ripresa Sperare in una recessione di anni sarebbe da folli, perché l'impatto sociale di una decrescita non governata sarebbe assai infelice. L'aspetto più interessante è invece che, sempre secondo l'analisi della Consumer and shoppig insight di casa McKinsey le imprese, se vogliono sopravvivere, saranno costrette a cambiamenti radicali.

Quali?«A nostro giudizio - spiega Desvaux - devono rivedere il loro approccio complessivo al marketing: l'offerta dei prodotti, la comunicazione, i canali di vendita e ovviamente anche il prezzo, in modo da allinearsi con i nuovi comportamenti della clientele: non solo durante la recessione, ma anche nella fase di ripresa dell'economia. Anzi, direi che chi riuscirà meglio ad anticipare questo impatto, avrà le migliori possibilità di catturare i consumatori e le opportunità che già si stanno aprendo all'orizzonte». E queste hanno a che fare con la sostenibilità (che Margrini confonde ci pare tout court con la ‘decrescita felice)? «No, direi di no - risponde sempre Desavaux - E' solo che i consumatori appaiono meno inclini alle frivolezze. Non comprano se non c'è la necessità. E danno meno peso ai marchi che sono di moda, ma non offrono la percezione di un forte valore aggiunto» E qui sta il nodo: riuscire a far sì che il mercato punti tutto sul valore aggiunto della ecosostenibilità del prodotto e del processo del prodotto in modo da seguire la nuova e virtuosa tendenza dei consumatori che potrebbero così modificare radicalmente una cultura della dissipazione e di energia e delle materia che ha portato alla crisi ecologica in atto.

In assenza di una governace, ovvero di un orientamento anche dei governi sul mercato verso prodotti e processi più sostenibili, si rischia però che tutto sia affidato alla percezione del consumatore che però sappiamo quanto sia - facciamoci un esame di coscienza - incline a mode e percezioni che spesso nulla hanno a che fare con la sostenibilità. Pensiamo poi a quali forze sono oggi in campo e che potrebbero portare lontanissimi o vicinissimi ad un comportamento davvero sostenibile da parte dei consumatori: dal buy americam alle filiere corte che contrastano però sia con gli accordi internazionali, sia con la competizione sui prezzi. Insomma facciamo sì che la crisi, che ormai è una realtà molto più che un pericolo, ora diventi l'opportunità delle opportunità di un nuovo modello sostenibile di sviluppo.

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