[03/06/2010] News toscana
FIRENZE. «In agricoltura biologica, essendo molto diversificati gli ambiti produttivi (in termini dimensionali, tipologici, logistici e culturali), emerge l'esigenza di avere un quadro varietale altrettanto diversificato, più che in quella convenzionale. Infatti, l'interazione genotipo/ambiente assume particolare importanza e per questo occorre affiancare ai sistemi classici di miglioramento genetico e di innovazione varietale, anche modelli di ricerca partecipata che attribuiscano un ruolo importante agli agricoltori».
Parole tratte dal comunicato con cui l'Associazione italiana agricoltura biologica (Aiab) descrive il ciclo di incontri che attualmente è in corso, che durerà fino al 4 giugno toccando varie località toscane (Montepaldi - Fi - il 31 maggio, dove ha avuto luogo il seminario di presentazione dell'iniziativa, e Peccioli - Pi - ieri) e nazionale (Bologna in data odierna, Muzzana del Turgnano - Ud - domani), e che è volto ad approfondire il tema del miglioramento genetico partecipato.
Per facilitare la comprensione del tema per i non addetti ai lavori, basta pensare al noto esempio relativo alla pianta di pomodoro, il cui nome deriva dal fatto che, quando la pianta fu introdotta in Europa (XVI secolo, secondo le cronache più accreditate), i suoi frutti erano piccole bacche di color giallo dorato. Fu solo successivamente, attraverso il lavoro di miglioramento genetico condotto dai coltivatori nel corso dei secoli, che i frutti del pomodoro acquisirono il colore e le dimensioni che, pur nella variabilità (cioè nella diversità) dei fenotipi disponibili, oggi riconosciamo agevolmente.
Per "miglioramento genetico" si intende quindi (sia nel comparto agrario, sia nelle scienze forestali, sia nella farmacologia, sia nella zootecnia) ogni azione di matrice antropica finalizzata a ottenere, col tempo, caratteristiche genetiche considerate desiderabili, e a penalizzare le caratteristiche non volute. Ciò può avvenire sia con metodi tradizionali (innesti, selezioni) sia anche con tecniche riferibili alla bio-ingegneria: la differenza sta nel fatto che da una parte il miglioramento genetico "tradizionale" è tecnica ormai sperimentata da secoli (anzi, possiamo dire da millenni visto che le prime coltivazioni di cereali praticate in Medio oriente agli albori della storia altro non furono che... azioni di miglioramento genetico di piante già presenti in natura), e che in sostanza è una "simulazione" e una "accelerazione" di processi naturali che avvengono comunque, guidati dalle leggi della selezione naturale. La bio-ingegneria, invece (ogm compresi) è una disciplina ancora per molti versi pionieristica, e che va a compiere la "simulazione/accelerazione" dei processi naturali sopra citata in modo molto più profondo e distorto, quasi chimerico potremmo dire, e in questo sta uno dei principali elementi per cui (insieme a varie altre considerazioni di ordine economico, sociale, ambientale e tecnologico) l'approccio al miglioramento genetico tramite manipolazione del Dna richiede una trattazione ben più complessa e prudente.
Al di là di queste considerazioni (che naturalmente sono ancora più stringenti quando parliamo di agricoltura biologica), la "storia" del pomodoro ci insegna che, almeno fino all'epoca contemporanea - in cui le attività sistematiche di miglioramento genetico sono ormai prevalentemente appannaggio delle università e dei centri di sperimentazione sia pubblici sia privati - anche in Europa sono stati proprio i coltivatori stessi a svolgere questa attività di vera e propria "ricerca". E, uscendo dalla parte del pianeta più industrializzata, ancora in vari ambiti del cosiddetto "sud del mondo" il ruolo dei produttori in questa evoluzione è tuttora determinante.
Un'attività di studio e coordinamento in questo senso è svolta dal Centro internazionale di ricerca in agricoltura nelle aree aride (International center for agricoltural research in dry areas - Icarda), con sede ad Aleppo (Siria), di cui fanno parte due ricercatori italiani (Stefania Grando e Salvatore Ceccarelli) i quali stanno portando avanti alcuni progetti inerenti alle pratiche partecipative per il miglioramento genetico in agricoltura nei paesi in via di sviluppo.
L'intenzione degli organizzatori del ciclo di eventi (di cui fa parte lo stesso Ceccarelli) è, oltre a dare un contributo al dibattito globale, quella di introdurre anche in Italia questa forma di partnership pubblico-privato, attraverso la definizione di progetti-pilota da porre in atto sul territorio nazionale. E' chiaro che, così come (almeno teoricamente) un processo partecipativo non ferma mai le sue prospettive al solo ambito di confronto in questione ma diventa una "agorà" di dibattito/sperimentazione e porta alla creazione di una rete di sinergie e contatti, così anche la "partecipazione per il miglioramento genetico" può essere lo spunto per una migliore valorizzazione - anche economica - delle tipicità alimentari ma anche di quelle culturali e territoriali (e della inscindibile relazione tra questi ambiti, cioè di quella «interazione genotipo/ambiente» citata in apertura), e per una politica di sostegno all'agricoltura biologica più integrata con i macro-obiettivi di sostenibilità sociale ed ambientale.
Ma il punto focale è la "riunione" di saperi antichi e tecniche moderne quale si potrebbe avere tramite un progetto organico di cooperazione tra il Pubblico, il mondo della ricerca e le aziende agrarie, da realizzarsi in via partecipata, con la conseguente attivazione di un flusso di informazioni e comunicazione reciproca e la (potenziale) creazione di un contesto di "educazione reciproca e permanente" tra tutti gli stakeholders, obiettivo che alcuni tra i massimi esperti continentali di partecipazione del verde (tra cui citiamo Ann van Herzele del dipartimento di Ecologia umana dell'università di Bruxelles) indicano come determinante per la riuscita di un percorso partecipativo.
La cinque-giorni di incontri si inserisce nelle attività della prima annualità del Piano Nazionale Sementiero Biologico, finanziato dal Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali, e la sua realizzazione è a cura dell'Associazione Italiana per l'Agricoltura Biologica, con la collaborazione della Rete semi rurali. Per informazioni e programma www.aiab.it.