[04/06/2010] News toscana

Legge toscana 1/2005: è il caso di farla diventare “adulta”?

FIRENZE. «Nuovi impegni di suolo a fini insediativi e infrastrutturali sono consentiti  esclusivamente qualora non sussistano alternative di riutilizzazione e riorganizzazione degli insediamenti e delle infrastrutture esistenti»: non si tratta della dichiarazione di intenti di un qualche utopista visionario, ma di una parte determinante della vigente legge toscana sul governo del territorio (l.r. 1/2005, art. 3 comma 4). Una parte che, peraltro, riprende e rende più stringente il principio già affermato nella legge precedente (la 5/1995, art. 5 comma 4) dove era sostenuto che «nuovi impegni del suolo a fini insediativi e infrastrutturali sono di norma consentiti quando non sussistono alternative». E in quell'evoluzione dall'espressione "di norma" a quell'"esclusivamente" passa, a termini di legge, tutto il vigore di cui, potenzialmente, poteva godere la politica di contenimento del consumo di suolo attuata dalla regione Toscana in questi anni.

Ma la realtà, come spesso accade, percorre altre strade che non quelle indicate dalle fredde parole contenute in un testo di legge: da una parte, infatti, il tasso di consumo di suolo della Toscana si è effettivamente ridotto, almeno secondo le - per certi versi tuttora sperimentali - analisi disponibili: dati Irpet (rapporto "Elementi di conoscenza del territorio toscano" 2009) indicano infatti che la crescita di aree artificializzate è passata, in regione, da un tasso dell'1% annuale dal 1990 al 2000, ad uno dello 0,5% dal 2000 al 2006. Ma dall'altra parte è la stessa Irpet (rapporto "Urbanizzazione e reti di città in Toscana" 2010 - vedi immagine) a sottolineare che se dal 1996 al 2007 la crescita della popolazione è stata del 5%, maggiore (8%) è stata la crescita delle aree residenziali, e che un'analoga discrepanza emerge anche per le funzioni produttive e commerciali, che nel periodo citato sono cresciute in estensione del 23%, mentre minore è stata la crescita sia del Pil (18%) sia degli occupati (15%).

Anche se parliamo di confronti basati su dati tuttora incompleti, e anche se la superficie consumata per nuovi insediamenti è sì un indicatore fondamentale, ma non può certo esaurire le possibili considerazioni sul grado di sostenibilità raggiunta nella politica urbanistica toscana (in primo luogo, in questo senso, occorre giudicare anche l'efficienza con cui questo suolo è stato consumato, e qui naturalmente il discorso si complica perché si entra nel campo delle valutazioni qualitative e non di quelle direttamente derivanti da misurazioni effettive), comunque i dati citati indicano che l'obiettivo minimo di qualsiasi politica tendente alla sostenibilità, e cioè quello di un disaccoppiamento (de-coupling) tra il trend degli indicatori di crescita economica (o demografica) e quello degli indicatori di pressione ambientale - in questo caso il consumo di suolo - non è stato raggiunto in questi anni in Toscana, nemmeno in valore relativo.

Eppure, la norma di legge, se applicata, dovrebbe condurre o verso un tasso di consumo di suolo tendente allo zero (obiettivo forse auspicabile, ma che appare comunque al momento utopico visto che al 2007 si è avuta una crescita del 10,7% rispetto allo stock edilizio del 1996) o perlomeno alla presenza di un organo (una "commissione", magari?) deputato alla valutazione di quelle eventuali "alternative all'utilizzo di suolo vergine" indicate dalla legge sul governo del territorio, e quindi al rilascio del "consenso alla nuova edificazione" cui pure accenna la normativa.

A questo proposito (vedi link in fondo alla pagina) l'ex-assessore all'Urbanistica Riccardo Conti sostenne in un'intervista a greenreport del dicembre scorso che la verifica delle possibili alternative «avviene in sostanza attraverso l'applicazione del Piano di indirizzo territoriale (Pit), che attua il suo "lavoro" attraverso un ragionamento che passa per i Piani strutturali e arriva ai Regolamenti urbanistici. Ed è a quel punto che si vede se è stato consumato suolo aggiuntivo a quello che serviva. E i risultati, in questo senso, ci sono stati, e lo si vede anche dai dati sul contenimento della crescita del consumo di suolo (..). Ciò dimostra che quello che conta, a livello regionale, è dare un'impostazione: sono poi i Piani strutturali a indicare non "cosa si farà e dove", ma le quantità effettive di "nuovo" e di "recuperato"».

Ma, almeno in riferimento a quanto avvenuto in questi giorni in varie località toscane, appare evidente che nella filiera Pit-Ps-Regolamenti urbanistici qualcosa è da aggiustare, in termini di effettivo contenimento del consumo di suolo libero. E in ogni caso il ragionamento di Conti a questo riguardo (in sostanza l'ex-assessore assegna alla valutazione del Pit il "controllo" sull'applicazione del principio contenuto nella legge 1) non appare sufficiente a fornire elementi di reale controllo sull'effettiva applicazione di quanto scritto a chiare lettere nella legge urbanistica regionale.

Insomma, quello citato in apertura è un principio "forte" in termini politici, ed è chiaro come la sua applicazione effettiva debba essere considerata più come un progressivo percorso di evoluzione della politica urbanistica che come un obiettivo raggiungibile dall'oggi al domani. E va detto anche che non c'è da stupirci se una legge viene applicata in modo più "elastico" rispetto alla rigidità della sua formulazione: un principio affermato anche dallo stesso Conti che parlò della sostanziale "stupidità" di una qualsiasi norma davanti alla maggiore applicabilità del relativo Piano di applicazione, sostenendo che il Pit era stato creato «proprio per dare contributi programmatici e applicativi alla legge 1».

Ciò non toglie che, se la Regione ha (meritoriamente, e prima ancora dell'avvento della giunta Martini) deciso di dotarsi di una norma così evoluta in termini di contenimento del consumo di suolo, allora le ipotesi che si parano davanti alla nuova giunta regionale appaiono in sostanza due: o la legge è inapplicabile, e allora la si cambia, oppure le si permette di "diventare adulta", passando da un'applicazione compiuta in linea discorsiva (e senza possibilità di verifica da parte dell'opinione pubblica, al di là dei dati di massima sull'urbanizzazione) ad una applicazione effettiva e pubblicamente verificabile.

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