[08/06/2010] News
BRUXELLES. Mentre i pescatori e ristoratori italiani protestano perché non potranno più vendere la "fritturina" di paranza, da Bruxelles la Commissione europea risponde con durezza e sciorinando dati inoppugnabili e conosciuti da anni: «Da indagini scientifiche sugli stock ittici del Mediterraneo risulta che oltre il 54% degli stock analizzati è sottoposto a uno sfruttamento eccessivo. Per ovviare a questa situazione, nel 2006 l'Ue ha adottato il regolamento "Mediterraneo", il cui scopo è migliorare la gestione della pesca al fine di giungere a un'attività di pesca sostenibile, tutelare il delicato equilibrio dell'ambiente marino e riportare a livelli di sicurezza gli stock ittici. Detto regolamento si applica agli Stati membri dell'Ue del bacino mediterraneo. Allo scopo di consentire agli Stati membri di prepararsi all'applicazione del regolamento, per un certo numero di disposizioni è stato previsto un lungo periodo transitorio di 3 anni. A decorrere dal 1° giugno il regolamento è entrato in vigore nella sua interezza e deve essere applicato dagli Stati membri interessati. Tuttavia finora gli Stati membri non hanno adottato tutte le misure necessarie a garantire la completa attuazione del regolamento e la Commissione si rammarica profondamente di questa situazione. Essa invita gli Stati membri ad urgenti agire al più presto, applicando misure basate sulle conoscenze scientifiche e intese a garantire un elevato grado di sostenibilità».
La commissaria per gli affari marittimi e la pesca, Maria Damanaki, ribadisce senza tentennamenti la posizione dell'Ue: «Le misure adottate con il regolamento "Mediterraneo" nel dicembre 2006 dovrebbero essere ormai integralmente applicate. Veglierò sulla rigorosa attuazione del regolamento per il Mediterraneo. Il periodo di transizione è finito, chiedo pertanto gli Stati membri di agire» ha detto la commissaria. «Gli Stati membri hanno avuto un periodo superiore a tre anni per conformarsi alle norme. Si tratta delle norme che gli Stati membri hanno unanimemente adottato nel 2006, sulla base di un compromesso raggiunto modificando la più ambiziosa proposta della Commissione. È arduo accettare che oggi non intendano o possano attuare neppure il compromesso del 2006. Sono veramente delusa», ha quindi aggiunto».
Siamo alle solite, soprattutto per l'Itaia, è il cosiddetto "effetto condono", tutti sanno che bisogna adeguarsi alle norme europee (che il nostro Paese naturalmente approva) ma poi quando arrivano le scadenza tutti si lamentano dell'ingiustizia, chiedono deroghe, fanno appello alla tradizione e addirittura alla "frittura Doc"...
La Damanaki nion sembra però molto impressionata dalle proteste italiane e ribadisce: «La situazione di numerosi stock ittici nel Mediterraneo è allarmante e i pescatori vedono le loro catture scemare di anno in anno. È necessario invertire questa preoccupante tendenza a praticare attività di pesca non sostenibili e a impoverire le risorse ittiche e dobbiamo farlo ora. A tal fine è necessario che tutte le parti in causa assumano le loro responsabilità e si attengano alle norme stabilite».
Ma la Commissione ricorda anche qualcosa che farà arrabbiare parecchio chi si oppone all'istituzione di Aree marine protette: «Il regolamento "Mediterraneo" avvia iniziative intese a integrare le preoccupazioni ambientali nella politica della pesca e a istituire una rete di zone protette, in cui le attività di pesca sono limitate per tutelare le zone di crescita, le zone di riproduzione e l'ecosistema marino. Inoltre detto regolamento fissa norme tecniche riguardo ai metodi di pesca consentiti e alla distanza dalla costa e reca disposizioni relative alle specie e agli habitat protetti. Esso lascia agli Stati membri un maggior margine di manovra per adattare le misure alle specifiche situazioni locali, ma questo metodo non può funzionare e fallirà se gli Stati membri non adempiono i loro compiti».
Il regolamento non è certo una novità: è entrato in vigore all'inizio del 2007 e prevedeva alcune disposizioni di lungo periodo per una sua applicazione progressiva (fino al 31 maggio 2010) «Sarebbe pertanto ragionevole ritenere che le amministrazioni nazionali abbiano avuto tutto il tempo necessario per preparare la transizione e garantire l'osservanza delle norme. Eppure, anche ora, sembrano impreparati e il livello di conformità alle disposizioni del regolamento appare problematico - sottolinea l'Ue - Ispezioni recentemente condotte dalla Commissione hanno messo in evidenza gravi violazioni per quanto concerne le dimensioni minime delle maglie delle reti da pesca, la taglia minima dei pesci e degli altri organismi marini e altri aspetti della selettività. Va evidenziato il fatto che le disposizioni in questione sono obbligatorie fin dall'entrata in vigore del regolamento, 3 anni fa. Gli Stati membri non hanno neppure rispettato i loro obblighi di presentare piani di gestione entro i termini previsti o di designare ulteriori zone di pesca protette come stabilito del regolamento». Naturalmente tra gli Stati membri inadempienti l'Italia è in prima fila, come dimostrano proprio le proteste di questi giorni.
La Commissione europea sottolinea che «il regolamento permette di praticare un certo numero di attività di pesca se dalle valutazioni scientifiche risulta che il loro impatto sulle specie e sugli habitat è accettabile e se sono gestite nell'ambito di un piano nazionale» e poi «Si rammarica profondamente di questa situazione, che avrà un'incidenza diretta sulla situazione degli stock e sulla sostenibilità della pesca. Essa ha caldamente esortato gli Stati membri ad agire in tempi rapidi per ovviare alla situazione e sta collaborando strettamente alla soluzione dei restanti problemi. Tuttavia se vi saranno infrazioni gravi la Commissione non potrà che adottare iniziative forti per assicurare il rispetto delle norme». L'Italia è avvertita, ma come abbiamo spesso visto gli avvertiomenti europei non sempre servono al nostro governo, sempre pronto a infilare il cappio nelle procedure di infrazione e nelle sanzioni.
Certo, anche per la Commissione Ue, «Non è ragionevole pensare che il regolamento o l'Unione europea possano da soli assicurare la gestione della pesca nel Mediterraneo. La partecipazione di tutti Paesi che si affacciano sul Mediterraneo è determinante e l'Ue si adopera attivamente nell'ambito delle organizzazioni multilaterali, tra cui la Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo e la Commissione internazionale per la conservazione dei tonnidi dell'Atlantico, al fine di migliorare le conoscenze scientifiche e soprattutto di garantire l'uguaglianza delle condizioni, con lo scopo generale di promuovere la sostenibilità».