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[16/06/2010] News
LIVORNO. La partita che l'Ue sta giocando sugli approvvigionamenti futuri delle materie prime strategiche per l'industria è l'occasione (leggasi come auspicio) per riequilibrare i rapporti con i Paesi in via di sviluppo - ovvero smettere di depredarli - e per una più corretta gestione delle commodity stesse che contrasti il loro depauperamento anche attraverso il rilancio definitivo delle materie seconde. Vogliamo leggere così quanto riportato oggi dal Sole24Ore circa il lavoro «del gruppo europeo di esperti nazionali che aveva il compito di identificare le materie prime più sensibili, indispensabili per sostenere l'innovazione tecnologica e la competitività della crescita economica dell'Ue». Quattordici sono - tra minerali e metalli di importanza cruciale su 41 - quelli presi in esame e tra questi compaiono: antimonio, berillio, cobalto, fluorite, gallio, germanio, grafite, indio, magnesio, niobio, il gruppo platino (comprende platino appunto, palladio, iridio, rodio, rutenio e osmio), terre rare, tantalio e tungsteno.
Il lavoro, in realtà, è solo all'inizio perché altre commodity potrebbero essere aggiunte - si parla di ferro, carta e legno e ci domandiamo perché non il litio, fondamentale per le batteri delle auto elettriche - e perché ora «la parola passerà all'industria per la consueta consultazione sulla bontà o meno della lista appena compilata». Giusto per capire contesto e tempi il Sole sottolinea che «Bruxelles si metterà al lavoro per presentare ai primi di novembre la comunicazione Ue sulla strategia da seguire per garantire all'Europa l'accesso alle materie prime essenziali a prezzi ragionevoli, tenuto conto della corsa all'accaparramento e della crescente concorrenza sui mercati da parte delle grandi economie emergenti, Cina in testa» e che «Le previsioni dicono che da qui al 2030, cioè tempo solo 20 anni, la domanda delle 14 materie prime sensibili risulterà più che triplicata rispetto ai livelli 2006.
Tenuto conto che il grosso della produzione mondiale è in mano a 4 paesi, si può avere un'idea dei rischi di penuria che potrebbero correre le forniture europee». Inoltre viene ricordato che questi minerali e metalli conoscono «bassi tassi di sostituzione come di riciclaggio». Ed è qui, dal nostro punto di vista, uno degli aspetti più interessanti perché si dice chiaramente che «prima di tutto la lista sarà aggiornata ogni 5 anni ed eventualmente allargata, se necessario» e «verrà incoraggiata, quando possibile, la sostituzione di certe materie prime incoraggiando investimenti Ue ad hoc nella ricerca» aggiungendo che «sarà migliorato l'accesso alle fonti eliminando le attuali restrizioni commerciali con denunce mirate al Wto e investendo (...) su un nuovo rapporto con l'Africa. Si dovrà puntare su un più efficiente riciclo dei materiali contenenti commodity oltre che su un utilizzo migliore delle materie prime».
Ebbene, questa è la green economy, questa è la partita sulla quale si gioca la riconversione dell'economia verso la sostenibilità e verso l'economia del futuro che per essere solida e duratura dovrà essere ecologica a prescindere e, quindi, economia senza ulteriori aggettivi. Un orizzonte così nebuloso stante l'insostenibile finanziarizzazione dell'economia a cui ancora non si è posto rimedio - ma giocoforza si farà - dal quale però questa iniziativa fa finalmente uscire un raggio di sole.
Un raggio di sole così importante che ci fa sorvolare sul fatto che sia Antonio Tajani, attuale commissario Ue all'Industria e rappresentante dell'attuale coalizione di governo che su questi temi non brilla certo (uno dei fondatori di Forza Italia), a lavorare con grande sforzo su questo tema cruciale per la sostenibilità. E su suggerimento forte tra l'atro da parte di Emma Marcecaglia e quindi di Confindustria che, anche in questo caso- a parte qualche sporadico lampo-, fa sì che la luce appaia piuttosto flebile ...
Qui l'Ue può però riprendersi davvero il ruolo di leadership sullo sviluppo sostenibile o su un diverso modello di sviluppo che con gli anni ha sempre più lasciato per strada. Certo non basta, perché se anche l'Europa riuscisse a raggiungere l'obiettivo dovrebbe quanto meno mettere in discussione il modello della crescita infinita per non rimandare solo più in là nel futuro il debito da pagare - e i debiti si sa si pagano sempre - con le prossime generazioni.
C'è poi da considerare- e non vanno dimenticate le difficoltà in tal senso- che il modello eventualmente accettato a livello europeo dovrebbe poi essere condiviso a livello globale, ma si tratterebbe, intanto, di aver tracciato una linea con il passato e non sarebbe affatto cosa di poco conto. Se John Lennon ci ha insegnato qualcosa è che potete dirci che siamo dei sognatori, ma forse non siamo poi così soli.