
[18/06/2010] News
LIVORNO. Senza neppure l'ombra di un giusto processo, la sentenza di condanna a morte è già stata emessa: è la sostenibilità ambientale e sociale la causa della crisi e va quindi immolata sull'altare dell'economia per uscirne fuori. Che in salsa italiana significa "dajene secche" alla Costituzione. E' successo in passato con l'articolo 18 e succederà, in modo ancor più deflagrante, se davvero si metterà mano agli articoli 41 e 118.
Pur credendo anche noi che questa mossa sia fumo negli occhi e che questo governo chiacchierone non concluderà un bel niente (e magari cadrà come corpo morto cade...) non si può tacere sull'idea che di nuovo torna più forte di prima a far breccia tra i padroni (è tempo di riprendere a dare senso e significato alle parole che hanno ripreso quel senso e quel significato) e tra i governanti. Ma che programmazione per uno sviluppo sostenibile; ma che tutela dei lavoratori; ma che pianificazione!
Direttamente dal settecento, come osserva giustamente Riva su Repubblica, siamo alla rievocazione del «laissez faire».
Per chi se lo è perso, l'articolo 41 recita: «L'iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali». Alla faccia delle limitazioni per le imprese!
Ma ecco gli illuminati che si vorrebbero aggiungere: «La Repubblica promuove il valore della responsabilità personale in materia di attività economica non finanziaria. Gli interventi regolatori dello Stato, delle Regioni e degli enti locali che riguardano le attività economiche e sociali si informano al controllo ex post».
Non è uno scherzo: la traduzione di questo è nella sostanza che io prima faccio, poi ti certifico che ho fatto bene e poi se vuoi te vieni a dare un'occhiata. A rischio è evidente c'è tutto, se pensiamo alle grandi e piccole opere è lecito domandarsi che fine faranno Via, Vas e compagnia cantante ma questo è solo un tassello del mosaico che porta alla suddetta condanna a morte relativa alla sostenibilità.
Le due pagine di Repubblica sul ritorno di fiamma per le materie prime italiane con proposte e lavori già avviati di trivellazioni per terra e per mare alla ricerca di petrolio, gas e quant'altro a colpi di royalties per i comuni che accetteranno lo sfroracchiamento, spiegano esattamente di cosa stiamo parlando. L'idea fissa è uscire dalla crisi economico-finanziaria e si pensa solo a come farlo nel più breve tempo possibile. Ed è chiaro che trovare pozzi di petrolio a disposizione nel nostro mare, o di gas, piuttosto che andarlo a prendere dagli arabi, oltre a saper molto di autarchia, farebbe probabilmente in prospettiva risparmiare qualcosa (anche se non né siamo certi visti gli investimenti da fare e le esigue quantità di greggio di cui si sta parlando). E magari si può anche spacciare come filiera corta!
Ma al di là di tutto e del male che se ne può dire di questa idea, ci fosse per lo meno uno straccio di programmazione. Un piano nazionale per l'italica energia. E' chiaro che qui, al di là delle battute e dei parallelismi con altre epoche, siamo nel bel mezzo di un guazzabuglio dove si è scelto di non scegliere e di lasciar fare, appunto, al mercato. E questo fa, e disfà anche come vuole.
Il terzo tassello è quello del lavoro e della condizione dei lavoratori, ridotti dal piano Pomigliano a una sorte di beatificati a cui i padroni "concedono" un'occupazione. Perché al di là degli aspetti tecnici della proposta di Fiat, è questo il messaggio che si vuol far passare: io non ho bisogno di te, povero Cristo, ma ti concedo di lavorare e dunque accontentati delle condizioni che ti propongo e non fiatare. Questo è l'aspetto più tragico. Che non ha bisogno di tanti commenti. Così come le nostre grandi speranze relative alla discussione interna all'Ue sulle materie prime rischiano di essere completamente smontate se, come riporta oggi il Sole24Ore, l'idea per noi vincente di «utilizzare al meglio le risorse interne alla Ue, ‘lavorando ad esempio sulla ricerca e sull'innovazione - ha detto Tajani in modo da trovare gli strumenti per sostituire le materie prime più utilizzate'», sia in realtà un grimaldello per cambiare l'azione di Bruxelles entro l'autunno, quando, si legge «Tajani invierà ai partner europei un documento dove si spiega che il recepimento della direttiva "natura 2000" è stata troppo rigida, «troppo alla lettera», e va quindi edulcorata per evitare che sia troppo punitiva e coercitiva. Pur nel rispetto dell'ambiente».
Cerchiobottismo puro per dire, proprio nell'anno della biodiversità, che dell'ambiente ce ne occuperemo a crisi finita. Dimenticando così che la crisi ecologica è forse ancor più grave e certamente direttamente collegata anche in funzione di un suo superamento, a quella economico-finanziaria-sociale. Amen