[21/06/2010] News
PISA. Sulla brace oggi ci sono un po' tutti, le regioni, i comuni, le province, le comunità montane, le autorità di bacino e sperare che i parchi possano non strinarsi sarebbe del tutto illusorio.
Ma è proprio per questo che urge capire il senso di quanto sta accadendo in un contesto generale contrassegnato appunto da una brutta turbolenza e tensione istituzionale carica di pesantissimi rischi. Ma qui l'argomento sul mal comune è bene accantonarlo subito perché proprio la turbolenza generale non attenua ma accresce i pericoli e rende sempre più incerta e traballante anche l'attività dei parchi, sia per gli effetti diretti che per quelli indiretti di questa crisi.
La recente assemblea di Federparchi di Olbia ha registrato giustamente come un significativo risultato l'essere riusciti a portare a casa finalmente un po' di vecchi soldi per le aree protette marine. Intanto, però, per i parchi nazionali continua la via crucis che prima ne aveva previsto l'abrogazione, poi il riordino, poi tagli del 50%, il blocco delle assunzioni, delle consulenze per la progettazione e via rovinando.
E pensare che erano stati accusati nientemeno che di ‘poltronificio' e ora faticano persino a tenere aperti gli uffici per fare poco o niente, sebbene abbiano dimostrato di sapere più e meglio di altri soggetti trovare cofinanziamenti anche esterni per fare buone cose a tutela della biodiversità, di un turismo ecosostenibile, per l'educazione ambientale e altro. L'attenzione è posta ora comprensibilmente sui parchi nazionali e le aree protette marine perché esse ricadono nell'orbita dello stato e le sue pessime scelte non solo finanziarie, ma anche i parchi regionali non sono al riparo di questa turbolenza generale. Intanto perché i tagli previsti per le regioni sono micidiali e se non saranno mitigati anche i parchi regionali ne pagheranno un salato scotto.
Ma fin qui si tratta degli aspetti più immediatamente visibili, gravi certo, ma che ne nascondono altri meno percepibili e tali da non far sempre neppure notizia, ma non per questo meno preoccupanti.
La sfida più impegnativa per tutti i parchi era e rimane quella della pianificazione, della loro capacità insomma di intervenire e operare concretamente sulla base di idee, progetti e orientamenti in grado di coinvolgere, d'intesa con lo stato, le regioni e gli enti locali le comunità locali.
Si è trattato e si tratta della prima vera pianificazione in cui l'ambiente inteso come natura, paesaggio, suolo, fauna e flora trova una regia unica, integrata anche tra terra e mare e non sulla base di confini amministrativi .ma appunto ambientali.
Ma ecco che il nuovo Codice dei beni culturali alla chetichella modifica la 394 e ‘sfila' inopinatamente il paesaggio dal piano dei parchi che passa ad ‘altri'. Alcuni lo hanno salutato come una scelta in fondo saggia visto che riporta più che mai la competenza sul paesaggio al ministero e allo stato.
Silenzio tombale invece sul fatto che si è tornati così a separare ambiente e natura dal paesaggio, che ritrova così tutta la sua astrattezza ‘ornamentale' -come è stato detto - proprio nel momento in cui è più che mai sotto schiaffo e non solo per i condoni sempre dietro l'angolo. Prima il governo aveva impugnato la legge regionale con la quale il Piemonte aveva istituito il parco fluviale del Gesso-Stura il cui ente avrebbe dovuto provvedere anche alla parte paesaggistica, e la corte -anch'essa con insolita rapidità- gli ha dato ragione. E così pure contro la legge ligure che aveva previsto i ‘paesaggi protetti', e anche qui la solerte pronuncia della Corte gli ha negato questa facoltà. Infine il TU della regione Piemonte che appena ha tagliato il traguardo dopo un lungo e complesso percorso è stata impugnata dal governo a cui la Corte ha dato non meno sollecitamente ragione, per cui ora la regione dovrà rivedere vari aspetti inerenti la gestione delle aree protette regionali.
In base a questo ‘recupero' centralistico e disgregante in alcune regioni ai parchi è stato tolto dopo un sacco d'anni il Nulla osta sui beni culturali. Insomma senza clamori e tra sconcertanti silenzi e distrazioni in questi ultimi tempi -quattrini a parte- sono state lesionate alcune strutture portanti della legge 394 che sono andate così ad aggiungersi alle scandalose inadempienze ministeriali che hanno reso praticamente ingestibile i parchi come sistema. Anzi, recentemente si è scoperto non solo che il ministero non ha riordinato la sua struttura come previsto dalla legge Bassanini ben un decennio fa, ma quella smilza che ha è ‘illegittima' come dichiarato la Corte dei conti.
Quale sia lo stato dell'arte dei parchi oggi lo conferma d'altronde nella maniera più eclatante il pasticcio incasinatissimo delle aree protette marine. Ci si è compiaciuti con molte dichiarazioni del recente accordo con la Francia per le Bocche di Bonifacio. Ma del Santuario dei cetacei nel momento in cui l'unione europea rilancia la gestione integrata delle coste, riesplode la questione petroliere, si deve provvedere a limitare la pesca nessuno da tempo sa niente e forse neppure al ministero.
In compenso si è messo mano - anche qui nottetempo- ad una nuova legge sulle aree protette marine che assesterebbe un altro gravissimo colpo alla legge 394.
Intanto è singolare che si metta mano ad una nuova legge su un aspetto tanto importante, complesso e tormentato per la sfrontatezza ministeriale che ha ignorato dai tempi della vicenda di Portofino (di cui torneremo a parlare in occasione del prossimo 75 anniversario di quel parco), ignorando le proposte avanzate allora e successivamente in particolare da Federparchi, della sua rivista, dei suoi vari e qualificati contributi come CIP (coste italiane protette) che ebbero tardivamente anche un riconoscimento ministeriale poi subito dimenticato. L'idea di fare una nuova legge è venuta-altra singolarità- dopo alcune sollecitazioni dell'UCINA e di qualche altra associazione e dopo qualche sortita stramba ministeriale ora sulla pesca subacquea, ora sulle boe. Intendiamoci, tutto legittimo, ma colpisce e sorprende che si mettano in cantiere modifiche sostanziali ( vedremo subito quanto gravi) ignorando regioni ed enti locali i soli ‘titolari' e protagonisti istituzionali con lo stato di questa legge.
Ma la sorpresa è ancora maggiore quando si scopre che all'art 1 si prevede la estromissione delle regioni da qualsiasi competenza sulle aree protette marine. Non è uno scherzo; nel momento in cui si dovrebbe mettere mano concretamente al Federalismo, al Senato si sta discutendo all'insaputa delle stesse regioni ed enti locali, di questa stupefacente ipotesi.
E la cosa ancor più sconfortante è che anche in questo caso come in quelli prima ricordati c'è un incredibile silenzio. Peggio, c'è un lavorio quasi clandestino che ha in qualche misura coinvolto anche Federparchi.
Ora, nessuno più di Federparchi ha il compito e il dovere ‘istituzionale' di coinvolgere le istituzione titolari dei parchi specie quando si tratta di simili questioni. Tanto più nel momento in cui quel fronte presenta anche incertezze che i parchi non possono ignorare.
Già all'ultimo congresso dell'associazione ebbi modo a nome della Legautonomie di far presente che l'Upi stava di fatto sostenendo le ipotesi di Calderoli sui parchi regionali che poi il ministro ha dovuto ritirare, ma non l'Upi. Alla vigilia delle ultime elezioni regionali, infatti, il direttivo dell'UPI in un suo ampio documento ha ribadito che le funzioni dei parchi regionali possono essere trasferite alle province. Soluzione come sappiamo sbagliata ed anche impraticabile, ma che viene confermata evidenziando la confusione che è andata via via aumentando sul ruolo e il futuro dei parchi nel nostro paese.
Federparchi ha il dovere, innanzitutto, di ricompattare il fronte istituzionale per impedire nuovi scempi -perché quello di tagliare fuori le regioni dalla gestione delle aree protette marine è uno scempio, una assurda provocazione. Di Portofino ne basta uno, senza bis. E i parchi non possono stare dalla parte di chi vuol fregarli.
Renzo Moschini