[21/06/2010] News toscana
PORTOFERRAIO (Livorno). Quello che sta accadendo all'Elba, che ci ha abituato a proteste e scontri sui temi ambientali, è abbastanza sorprendente. L'isola, fresca reduce da un'infiammata polemica alla quale hanno partecipato sindaci, comitati, ambientalisti e blogger su un libro del presidente del parco Mario Tozzi, o meglio su alcune frasi estrapolate da un testo non letto per intero, si è ritrovata sulle pagine di uno dei maggiori quotidiani nazionali, La Repubblica, come candidata ad ospitare nel suo mare una grande concessione gasiera-petrolifera.
Una cosa che il circolo di Legambiente Arcipelago Toscano ha documentato minuziosamente, come ha riportato anche greenreport, ricostruendo una vicenda che ha dell'incredibile e che vede protagonista, attraverso il suo braccio operativo locale Puma Petroleum, la multinazionale australiana Key Petroleum ltd che è specializzata in trivellazioni in Paesi in via di sviluppo come Tanzania, Namibia e Suriname.
Il giorno dopo la notizia ha fatto il giro di mezzo mondo, la stessa Repubblica ne ha dato grande rilievo sulle sue pagine toscane, i giornali locali se ne sono interessati con dovizia di particolari, l'assessore all'ambiente della Toscana Bramerini ha detto che la Regione è totalmente contraria a questa follia ma che in mare non ha competenze (e ha chiesto ai Comuni elbani di farsi sentire), su internet e Faceboock gli amici dell'Elba e dell'Arcipelago sono indignati, Legambiente Arcipelago Toscano è tempestata di telefonate di giornalisti... ma all'Elba la calma regna sovrana, salvo qualche giudiziosa e moderatissima dichiarazione del sindaco di Portoferraio Roberto Peria e del consigliere di Campo nell'Elba Yuri Tiberto, che solo pochi giorni fa chiese il divieto del transito per petroliere e navi pericolose esattamente dove ora si vorrebbero addirittura fare le trivellazioni offshore.
Sembra quasi che la cosa stia accadendo molto lontano dal mare protetto di Pianosa e Montecristo e nel bel mezzo del Santuario internazionale dei mammiferi marini Pelagos. Semba quasi che l'isola, attorniata dall'attenzione e dalla preoccupazione di mezza Italia, abbia deciso di guardare da un'altra parte.
Tacciono i blogger solitamente insultanti e inferociti, tacciono i sindaci sempre pronti a difendere il sacro suolo elbano e l'elbanità da aree marine protette e parchi, tacciono i folkloristici indipendentisti e i padano-elbani, tace perfino il vittorioso Comitato contro l'elettrodotto della Terna, che pure dovrebbe preoccuparsi perché quegli elettrodotti servono proprio a trasportare le "rigide" energie fossili e nucleari, tacciono soprattutto gli albergatori e le categorie economiche elbane che si sono scagliate come un sol uomo contro Tozzi accusato di sfregiare l'immagine dell'Elba con una "ingiustificata" polemica contro la cementificazione.
Sarà forse la delusione per le disavventure della Nazionale in Sudafrica, sarà che in questo inizio autunnale d'estate il tempo e la crisi mordono come non mai i polpacci della mono-economia turistica e le casse piangono, ma l'isola sembra aver spento di colpo tutte le sue passioni: chi gridava ai colonizzatori romani-fiorentini quando si trattava di parco e cemento non sembra aver nulla da dire sulla colonizzazione australiana offshore dell'Arcipelago, chi manifestava contro i tralicci e chiedeva energie rinnovabili e rispetto dell'ambiente (e magari accusava il parco e Legambiente di aver fatto poco contro l'Enel/Terna per chissà quali reconditi interessi), oggi sembra disinteressato alla possibile concessione di trivellazioni nel mare dell'Arcipelago per produrre il sostegno alla sporca economia del petrolio, chi protestava contro l'Area marina protetta all'Elba e al Giglio (e magari anche contro quella delle secche della Meloria) assiste annoiato e in altre faccende affaccendato ad un'operazione che, per difficoltà tecniche e profondità da raggiungere, probabilmente renderebbe uno scherzo l'ecocidio in corso nel Golfo del Messico, una marea nera che dura da 2 mesi e che la Bp, una multinazionale molto più ricca, esperta ed attrezzata della quasi sconosciuta Key, non è ancora riuscita a fermare.
Eppure anche oggi sul Tirreno il professor Giuseppe Tanelli, un geologo dell'università di Firenze che per 5 anni è stato presidente del Parco nazionale dell'Arcipelago Toscano, racconta in scienza e coscienza quali siano i rischi e i costi in gioco di questa scellerata operazione a ridosso di isole protette che rappresentano uno dei forzieri della biodiversità del pianeta e che permettono un'ancor ricca economia turistica.
Forse la dicotomia fra le accese polemiche contro Tozzi e i tralicci e l'assenza di una reazione collettiva contro la multinazionale petrolifera sta proprio qui: nella reazione da "piccola patria" ferita che è sempre pronta a piegare il capo con il colonizzatore vero, che fabbrica paure e poi é incredula davanti ai pericoli reali, che sfugge alla realtà della crisi negandola e al cedimento di un modello (quello cemento-turismo) rilanciandolo immutato, ma ricoperto di altre scuse.
Alle piattaforme offshore in pochi vogliono pensare perché ingombrano fastidiosamente la mente, richiamano alla necessità immanente di un nuovo modello di sviluppo, ad nuovo pensiero che contenga il futuro delle isole, un progetto di nuovo sviluppo umano ed ambientale. Sono fastidiose perché danno ragione agli altri, a che dice che la corsa porta al precipizio e che siamo già pericolosamente sul suo bordo, anzi qualche sassetto la crisi lo ha già fatto cadere sul fondo. E' come se la Puma Petroleum avesse trivellato improvvisamente i problemi dell'isola facendoli venire a galla, mettendo l'Arcipelago di fronte ad una scelta di futuro che implica altro, compresi nuovi pensieri e nuovi fatti, una cosa molto più difficile da esorcizzare di una frase su un libro.
E soprattutto qualcosa che non si può nascondere con le urla virtuali, con il vittimismo e l'indignazione a richiesta e comodità politica, ma che esige determinazione e coraggio veri, per scontrarsi con poteri forti veri, quelli che muovono ancora l'economia del mondo pompandogli nelle vene il petrolio. Non importa se nel Golfo del Messico, in Suriname o all'Elba.