[11/08/2009] News

Terremoti giapponesi e nucleari italiani

LIVORNO. La terra non si placa in Asia e nel pacifico. E dopo le scosse registrate a Tokyo domenica scorsa e la violenta scossa di questa notte (di magnitudo 7,6 della scala Richter) nelle isole Andemane, a largo delle coste indiane, che ha fatto scattare subito l'allarme tsunami in India, Birmania, Indonesia, Thailandia e Bangladesh, poi revocato, la terra ha continuato a tremare.

 All'alba un altro forte sisma (6,5 di magnitudo) ha colpito infatti il Giappone, nel distretto di Shizuoka, causando 90 feriti, forti disagi nei trasporti e la chiusura cautelativa di due reattori nucleari della centrale di Hamaoka.
La chiusura dei reattori è stata fatta, secondo quanto riporta la televisione pubblica Nhk, per motivi precauzionali, ma non ci sarebbero danni evidenti.

Ma già il fatto che un paese come il Giappone che ai terremoti è abituato e attrezzato (e lo dimostra il fatto che una scossa di tale magnitudo non ha provocato gravi danni alle abitazioni e che i feriti, non gravi, sono dovuti nella quasi totalità da cadute per perdita di equilibrio e da oggetti e mobili staccatisi da tetti e pareti), chiuda in via cautelativa due reattori nucleari, la dice lunga sulla pericolosità di questa modalità di produzione energetica.

E la dice lunga sui livelli di sicurezza che dovrebbero essere garantiti nel nostro paese che si accinge a ritornare a investire su questa fonte energetica e che come dice la protezione è «il paese a maggior rischio sismico del Mediterraneo».

L'evento abruzzese del 6 aprile scorso (in cui la massima intensità delle scosse ha raggiunto valori più bassi di quelli registrati in queste ore in Giappone) ne è solo la più recente evidenza come e il drammatico epilogo in numero di vittime e di distruzione del territorio mostra quanto il nostro paese non sia minimamente attrezzato per farvi fronte.

Certamente nell'individuazione dei siti dove si vorrebbero realizzare le future centrali nucleari se ne terrà conto, ma ciò non basta a far diminuire la preoccupazione.

Se a questo si aggiunge l'elenco infinito, che più volte abbiamo sottolineato da queste pagine, delle altre conseguenze che questa scelta potrebbe determinare (il problema delle scorie, quello della sicurezza intrinseca di questa tipologia di produzione energetica, i costi non competitivi con altre fonti comprese quelle rinnovabili, il problema del consenso delle popolazioni e via dicendo) confermano ancora una volta- se mai ce ne fosse bisogno- l'assoluta insensatezza di questa scelta che è alla base della politica energetica di questo governo.  

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