[28/06/2010] News

G8-G20: doppio flop e ognun per sé

TORONTO. Un doppio appuntamento inutile costato circa un miliardo di dollari, dei quali quasi novecento milioni andati per la sicurezza. E forse anche per questo la polizia ha collezionato fino alla fine oltre 400 arresti. 16.000 poliziotti per neanche tremila manifestanti.

Un G8 sempre più spento che però non si rassegna, annuncia che la formula resta in piedi e poi si riversa dentro un G20 che per "motivi tecnici" rischia pure di far saltare la conferenza stampa finale, ma certamente non riesce ad esprimere nulla di incoraggiante.

Stavolta all'avvicinarsi delle riunioni i vari paesi avevano segnalato divergenze di vedute piuttosto marcate sul da farsi nel versante delle politiche economiche. E non solo tra stati avanzati e giganti emergenti, ma anche all'intero dello stesso gruppo ristretto di economie industrializzate, il G8 - i sette 'grandi' occidentali, tra cui l'Italia, più la Russia - primo a riunirsi a Huntsville, circa 220 chilometri da Toronto, dove invece si è riunito subito dopo tutto il G20. Nel G8 il divario più evidente è stato quello tra Usa e Ue: i primi preoccupati di continuare a sostenere la ripresa economica, il Vecchio Continente invece lanciato su drastiche manovre di risanamento dei conti pubblici, dopo lo spauracchio innescato dalla crisi di bilancio in Grecia. Ma anche a Toronto, assieme ai nuovi giganti globali, Cina, India, Brasile, e ad attori di ruolo di Africa e Medio Oriente come l'Arabia Saudita, le questioni oggetto di dispute sono state anche numerose. A cominciare dagli attriti tra Usa e Cina sullo spinoso nodo dei cambi. Da mesi Washington ha ripreso il suo pressing, accusando Pechino di tenere artificiosamente basso lo yuan per favorire il suo export e la Banca centrale cinese annuncia "più flessibilità" sui cambi ma con eventuali movimenti saranno graduali ed uno yuan che rimarrà "stabile". E se l'unico segnale che esce da qui è che la ripresa è ancora fragile ed esposta a molti rischi, sulle risposte però, si procederà in ordine sparso: nessuno accordo per tassare le banche e nessuna ricetta unica sulle politiche economiche. Ognuno deciderà di ridurre i deficit, ma con azioni nazionali mirate. Mentre il Fondo monetario internazionale quindi aveva affermato che un mancato accordo avrebbe creato una situazione in grado di mettere a rischio trenta milioni di posti di lavoro, nessun accordo si è riusciti a trovare su una delle misure più attese e controverse come la tassa sulle banche, bocciata sia dal G8 che dal G20, con tanti paesi che hanno opposto un no secco all'idea di imporre una tassa globale a carico delle banche, che le avrebbero costrette a contribuire ai costi dei rischi che creano sull'economia.

Nell'agenda politica oltre alle condanne di Iran e Corea del Nord si è parlato anche di Afghanistan, con l'auspicio che entro 5 anni le forze afgane siano autonome nel garantire stabilità e sicurezza.
Un documento finale veramente nullo insomma, con laconiche reiterazioni a mantenere gli impegni assunti con il vertice di Gleneagles del 2005, e l'unica novità degna di nota di un'iniziativa per la salute materno infantile.

Sul fronte della lotta ai mutamenti climatici le conclusioni del G8 ripercorrono lo schema usuale: grande priorità, aumento della temperatura globale che non deve superare i 2 gradi Celsius rispetto ai livelli pre-industriali e riduzione di almeno il 50% delle emissioni globali entro il 2050. Inoltre obiettivo di sostegno dei paesi sviluppati per la riduzione delle emissioni di gas serra complessivamente dell'80% o oltre entro il 2050, rispetto al 1990 o anni più recenti. Tutto però rimandato all'appuntamento di Cancun della prossima Conferenza delle parti sui mutamenti climatici, senza nessun impegno, figuriamoci sui fondi necessari a mitigare le conseguenze dei mutamenti climatici. Le conclusioni del G20 se fosse possibile affievoliscono ancora l'annuncio, e lì naufragano irrimediabilmente i provvedimenti preannunciati contro i sussidi ai combustibili fossili che incoraggiano gli sprechi, proprio mentre la fuoriuscita di petrolio nel Golfo del Messico prosegue inarrestabile.

L'enfasi data al Rapporto sull'accountability, ovvero su quanto sin qui realizzato dai G8 rispetto agli impegni assunti nei vertici precedenti, è una ulteriore dimostrazione di come anche le cifre e i dati siano un'opinione. I 6.5 miliardi spesi per L'Aquila Food Security Initiative rispetto ai 22 promessi lo scorso anno così come i 5 miliardi promessi in questi giorni per la Muskoka Initiative in materia di salute materno infantile lasciano l'ambiguità tra quanto realmente siano denari nuovi messi a disposizione o piuttosto operazioni contabili di riciclaggio di fondi già stanziati e spesi. E tra le altre cose ancora, questo doveva essere un appuntamento decisivo in vista del prossimo Summit delle Nazioni Unite che a settembre di quest'anno dovrà valutare i progressi compiuti rispetto agli otto Obiettivi di Sviluppo del Millennio assunti dai 192 Stati membri ONU nell'anno 2000, e sui quali i primi dati del Rapporto anticipati dal Segretario Generale ONU Ban Ki Moon, evidenziano un preoccupante ritardo.

Per questo ONG e realtà di società civile sostengono la proposta avanzata da Sarkozy affinché per il prossimo G8 del 2011 in Francia il rapporto sull'accountability sia redatto dai Paesi beneficiari e non unicamente da quelli donatori, come fatto per questo G8 in Canada. Le ONG con i propri partner locali si faranno carico di una vera e propria operazione verità che insieme ai Paesi in Via di Sviluppo smascheri i trucchi e le manipolazioni dei dati fatte da chi può spendere davvero 1 miliardo di dollari per organizzare  un summit come quello appena conclusosi, ma non per sfamare milioni di persone.

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