[28/06/2010] News
LIVORNO. Mentre in Canada si è consumata l'ennesima farsa del baccanale dei potenti seduti sulle spalle dei paesi poveri, e si è dimostrata ancora una volta l'incapacità da parte della politica di riprendersi quel ruolo di guida e di governance mondiale abdicato in favore della finanza, non mancano riflessioni intelligenti, perfino nel nostro paese, che hanno come colpa più grande quella di non saper farsi ascoltare, oppure di ritrovarsi al momento giusto nel ruolo sbagliasto (vi dicono nulla i grandi leader politici che una volta "pensionati" vengono illuminati sulla via della sostenibilità ambientale o sociale, prodigandosi in beneficenze e campagne che sono palliativi di fronte a quello che avrebbero potuto fare davvero quando dirigevano l'orchestra?).
Prendiamo a puro titolo esemplificativo tre giornali italiani e altrettante riflessioni: la prima è di Tommaso Padoa Schioppa sul Corriere della Sera, che punta il dito proprio sull'incomunicabilità dei teatranti che si sono scambiati strette di mano e foto di rito (il nostro presidente ovviamente non si è fatta mancare l'ennesima solita bionda pizzicata da "clandestina" sul jet presidenziale): «governare il mondo è difficile quando si fatica a governare se stessi. Ma governare se stessi da soli, come se il mondo fosse diviso in isole non comunicanti, è impossibile quando le sfide sono globali». L'ex ministro dell'economia nell'ultimo governo Prodi non dà ricette e soluzioni miracolose ma invita a tornare sulle cause che hanno portato alle crisi del 2008-2009: «La crescita materiale dei paesi ricchi è largamente fondata sul consumo superfluo perché il debito pubblico elevato e la finanza malata sono in casa loro, perché la loro struttura sociale mal tollera la stagnazione dell'economia e perché i loro regimi democratici non permettono che il consenso. Tutto ciò li rende prigionieri della veduta corta».
In tre parole: schiavitù della crescita, senza se e senza ma. E fa quasi impressione leggere gli stessi concetti sul quotidiano concorrente, Repubblica, che ospita l'intervento di Timothy Garton Ash. Anche qui infatti le parole chiave sono debito e veduta corta: «Negli ultimi cinquant´anni abbiamo accumulato un'impressionante mole di debito, delle imprese, delle famiglie e pubblico. A seguito della crisi finanziaria si è passati da un insostenibile indebitamento del settore privato ad un insostenibile indebitamento del settore pubblico. Mentre gli allegri banchieri se la ridono sui loro yacht, la crisi del debito privato si è trasformata in una crisi del debito sovrano. E le nazioni esportatrici virtuose, ad alto risparmio, come la Cina e la Germania, hanno fatto affidamento sui paesi scialacquatori che, grazie al credito, acquistano le loro esportazioni».
Tutto questo secondo Ash amplifica la caratteristica intrinseca dei mercati, l´effetto riflessività, teorizzato da Soros. «È possibile allora che i mercati correggano il proprio modo di operare per affrontare il problema dell´ottica a breve termine? Se sì, come? I governi, le organizzazioni internazionali e gli interventi coordinati dei singoli Stati sono in grado di regolare più efficacemente i mercati?». Ash si risponde da solo, in modo quasi rassegnato, con un'ultima domanda: «Ma se persino l´eurozona, relativamente coesa, non convince, come può convincere un insieme disomogeneo di 20 Stati diversi?».
Il professore di diritto civile dell'università di Torino, Ugo Mattei, sembra quasi voler tirare il filo di un ragionamento comune con Ash e Padoa Schioppa, nel suo affascinante intervento sul Manifesto di ieri: «Soltanto la rozza applicazione del modello dell'homo oeconomicus, massimizzatore individualista delle utilità del breve periodo, spiega gli esiti della cosiddetta tragedia dei comuni.(...) Una risorsa comune è liberamente appropriabile e in quanto tale stimola comportamenti di accumulo opportunistico che ne determinano la consunzione. Il senso del limite, creato dal rispetto e dal confronto dell'altro e della natura, viene così escluso a priori da tale modello antropologico irrealistico, fondato su una visione puramente quantitativa».
Oggi la tentazione è quella di accodarsi anche noi a queste riflessioni, rassegnandoci a questo mal-interopretato ruolo della politica e malcapito senso del limite, buono solo quando c'è da guardare alle utilità di breve periodo, e mai quando ci sarebbe da guardare ai limiti fisici del pianeta e della crescita.