[01/07/2010] News

Noaa: anche nel 2010 la “Dead zone” del Golfo del Messico sarà più ampia della media

FIRENZE. Tra 6.500 e 7.800 miglia quadrate (sqm), corrispondenti ad un range tra 16.800 e 20.100 kmq, una superficie sostanzialmente analoga a quella dell'intero stato federale del New Jersey o, per riferirci all'Italia, a quella del Veneto o del Lazio. E' l'estensione che, secondo quanto comunica la National oceanic & atmospheric administration (Noaa), dovrebbe essere raggiunta nel corso dell'estate 2010 dalla cosiddetta "Dead zone", situata alla foce del fiume Mississippi davanti alle coste dello stato federale omonimo e della Louisiana.

La "zona morta" (vedi link in fondo alla pagina) è un'area di mare di estensione variabile (la media degli ultimi anni ammonta a circa 6.000 sqm-15.500 kmq) dove ogni anno, in seguito alle piogge primaverili e alle alluvioni da disgelo, il fiume Mississippi riversa nel golfo del Messico immani quantità delle sostanze nutrienti che sono state dilavate dai terreni parte del suo bacino, che ammonta a circa 3,2 milioni di kmq. Sia in conseguenza delle emissioni provenienti dai centri abitati, sia soprattutto di quelle provenienti dalle fattorie presenti nel bacino (circa 1,7 milioni di tonnellate tra nutrienti fosforici e azotati derivanti dall'uso di fertilizzanti), ogni anno alla foce del fiume si crea un'area marina caratterizzata da assenza o comunque da minima presenza di specie biologiche superiori, con la indesiderabile eccezione rappresentata dalle meduse, oltre che da alcune specie di alghe.

Il motivo di ciò è legato a varie forme di impatto antropico, ma in grande prevalenza all'inquinamento da eutrofizzazione, cioè ad una eccessiva quantità di nutrienti nell'acqua, la quale porta ad una smodata proliferazione del fito-plancton. Ciò comporta una serie di reazioni a catena: anzitutto il fitoplancton (vero e proprio "primo anello" della catena alimentare marina), in presenza di eccessive quantità di nutrienti, tende a sbilanciare l'equilibrio tra fotosintesi (CO2>O2) e respirazione cellulare (O2>CO2) a favore di quest'ultima, con il risultato di un consumo netto - e non di una "produzione" come avviene tipicamente - di ossigeno. Inoltre, alla proliferazione del fitoplancton segue quella dei loro principali predatori, e cioè dello zoo-plancton, con una ulteriore riduzione dell'ossigeno disponibile. A ciò fa seguito un forte aumento della popolazione di batteri eterotrofi decompositori (che si nutrono sia delle "spoglie" del fito- che dello zoo-plancton, e che nel farlo consumano ulteriore O2), e infine a questi tre meccanismi si sommano le difficoltà di mescolamento tra le acque del fiume e quelle del mare che, causate da differenziali sia di tipo chimico che fisico, portano alla creazione di "sacche" di acqua dove la presenza di ossigeno è molto limitata.

Il risultato dell'azione congiunta di questi fattori è appunto la formazione annuale della "Dead zone", la cui estensione massima (8484 miglia quadrate, 21973 kmq) è stata raggiunta nel 2002. L'area ipossica tende a permanere fino alla prime piogge autunnali che colpiscono il bacino causando un rimescolamento delle acque del fiume e poi, a valle, di quelle del braccio di mare antistante la Louisiana.

Secondo quanto riporta la Noaa, che monitora il fenomeno fin dal 1990, l'obiettivo che le autorità politiche locali e i vari centri di ricerca creati ad hoc per affrontare il problema si sono posti è ridurre l'estensione annuale a 1900 sqm (, cioè circa 1/3 - 1/4 della stessa estensione che secondo le stime dovrebbe essere raggiunta quest'anno.

Ciò che è particolarmente interessante infatti, in questa vicenda che ha di per sé gravi risvolti sulla biodiversità e sull'industria della pesca locale (per il 2008, secondo la Noaa, il giro d'affari della pesca commerciale nel Golfo ammontava a 659 milioni di $, mentre l'attività degli oltre 3 milioni di aziende per la pesca turistica presenti nell'area ha comportato introiti superiori al miliardo di dollari), è il fatto che quelle presentate non sono valutazioni prodotte a posteriori, ma stime aprioristiche: ogni anno, infatti, alle quantità stimate di nutrienti dilavate dal territorio del bacino fluviale viene fatta corrispondere una previsione dell'estensione della Dead zone. Queste stime, che non sono facili da verificare successivamente a causa del fatto che l'area ipossica si situa sul fondo del mare, e non in superficie dove sarebbe più agevole svolgere i necessari rilevamenti, sono comunque poi confermate, nella loro attendibilità, dai (pur limitati) dati ottenibili ex-post.

Si ha quindi un processo di vera e propria "contabilizzazione" degli impatti ambientali "a monte" (in questo caso, degli specifici impatti da nutrienti fosforici e azotati) compiuta ogni anno dal dipartimento di Monitoraggio geologico del governo statunitense (Us Geological Survey), a cui fa seguito poi una attendibile stima delle conseguenze "a valle" di questi impatti. Ed è chiaro che questa attività di ricerca costituisce poi la base per ogni azione politica e/o tecnica finalizzata non solo alla riduzione degli impatti in sé per sé, ma soprattutto al determinare (per poi giungervi col progresso tecnologico e sociale) quella soglia - appunto, definita in 1900 sqm - che permette contemporaneamente di perpetuare l'economia agricola del bacino del Mississippi grazie ad un sostenibile tasso di utilizzo di fertilizzanti, ma di farlo senza ampliare oltre quella superficie ritenuta "sostenibile" l'estensione raggiunta in seguito dalla Dead zone. Un meccanismo che è sostanzialmente analogo a quello che mette in relazione le emissioni atmosferiche climalteranti e il conseguente tasso di global-warming, ma che di questo è più preciso grazie alla limitata superficie su cui svolgere i necessari calcoli e alla maggiore possibilità di costruire dei precisi rapporti di causa ed effetto tra le effettive quantità di nutrienti presenti nel fiume e l'estensione della Zona morta. Anche in questo campo della contabilizzazione ambientale restano comunque, come afferma la Noaa stessa, enormi margini di miglioramento.

Riguardo, infine, al rapporto tra questo problema economico-ambientale e quello - purtroppo, da giudicare molto più grave in termini di impatti complessivi sui sistemi biologici, sull'economia umana e sulla stessa qualità della vita nelle aree costiere - che sta colpendo in questi giorni il golfo del Messico, la Noaa evidenzia una possibile duplice relazione: da una parte, infatti, secondo quanto afferma R.Eugene Turner, docente di Oceanografia presso l'università della Louisiana, «la perdita di petrolio (causata dall'esplosione della piattaforma della Bp) potrebbe aumentare l'estensione della zona ipossica attraverso la decomposizione microbica del petrolio, che consuma ossigeno». Ma la presenza dell'idrocarburo «potrebbe anche limitare la crescita di quelle alghe che si avvantaggiano dell'ipossia», e che sono a loro volta di contributo alla estrema povertà biologica che ogni anno colpisce il braccio di mare in questione. Due effetti tra loro contrastanti, quindi, e le cui interrelazioni andranno adesso studiate nel dettaglio: l'unica cosa certa a questo riguardo, ha concluso Turner, è che «la combinazione della Zona morta e della perdita di petrolio (a cui va aggiunta una stagione degli uragani atlantici che, secondo le stime della stessa Noaa e del britannico Met-office, dovrebbe essere particolarmente intensa per il 2010, nda) non è una buona notizia per la locale industria della pesca».

Torna all'archivio