[06/07/2010] News
ROMA. La Fao chiede ai Paesi produttori di the di aumentare le entrate provenienti da questo tipo di coltivazione «Assicurando una promozione attiva della commercializzazione del the a scala nazionale e facendone conoscere i benefici per la salute all'estero». Quello che preoccupa l'agenzia alimentare dell'Onu sono i rischi legati all'espansione delle piantagioni di the che a lungo termine potrebbero avere effetti negativi sui prezzi.
La Fao ha reso noto un rapporto che prevede che nei prossimi 10 anni «Il mercato dell'esportazione del the verde avrà una crescita più rapida di quella del the nero. In effetti, i mercati del the nero nei principali Paesi importatori arriva quasi alla saturazione e non si dovrebbe sviluppare ulteriormente».
Secondo la Fao «le esportazioni mondiali di the nero dovrebbero aumentare dell'1,8% entro il 2019, mentre quelle del the verde dovrebbero registrare una progressione annuale che potrebbe arrivare fino al 5,5%.
Durante gli ultimi 5 anni il the nero ha rappresentato il 65% della produzione mondiale, il 67% dei consumi e l'80% degli scambi. Ma negli ultimi anni i benefici riconosciuti del the verde per la salute (e la moda) hanno provocato un forte aumento dei consumi nei Paesi ricchi che ha fatto balzare in alto le esportazioni di questo prodotto.
Secondo Kaison Chang, segretario del Gruppo intergovernativo della Fao sul the, «Le prospettive di crescita del consumo di the sui mercati di importazione tradizionali, come la Gran Bretagna e la Russia, sono relativamente limitate ma nei Paesi produttori, dove il consumo per abitante è molto più basso, esiste un forte margine di espansione».
Nei Paesi produttori si consuma infatti il 10% della quantità di the consumato nei Paesi che importano più the e quindi, secondo la Fao, «Esistono delle buone opportunità per i piantatori di the se delle strategie di commercializzazione giudiziose saranno messe in atto».
Da quello che si capisce la Fao vede una saturazione e contrazione del mercato e cerca di prevenirla con il consumo interno, il problema è che i Paesi produttori di the sono quasi sempre poveri, se non poverissimi.
Infatti, se il primo esportatore mondiale è la rampante Cina, subito dopo vengono Kenya, Sri Lanka ed India, dove certo la situazione delle comunità rurali non è florida.
Secondo il Fao Composite Price for tea, l'indicatore mondiale del corso del the nero, i costi del the sono saliti del 13% nel 2009, un aumento record, a causa della siccità che ha colpito le principali aree produttive in Asia ed Africa. Attualmente i prezzi si sono stabilizzati grazie a migliori condizioni meteorologiche, ma questo rialzo dei prezzi nei paesi ricchi si è trasformato in un 5% in più, sia per la crisi che per la concorrenza sempre più forte di altre bevande. Invece, nello stesso periodo, nei Paesi in via di sviluppo i costi al consumo sono saliti del 12%.
Per Chang «Il the può considerevolmente contribuire alla sicurezza alimentare di una nazione. In Kenya, per esempio, le entrate delle esportazioni del the coprono la totalità della fattura delle importazioni alimentari. Il rapporto Fao però sottolinea che «Le entrate provenienti dalle esportazioni di the rappresentano il 35% circa delle esportazioni agricole totali ddl Paese . Nello Sri Lanka, secondo produttore mondiale di the, il the costituisce il 50% delle entrate delle esportazioni agricole e copre circa il 60% della fattura alimentare»
Bisognerebbe anche chiedersi a chi vadano sia i guadagni delle esportazioni che delle importazioni, in Paesi segnati da grandissime differenze sociali e fra città e campagna, e se non ci sia il rischio di una monocoltura.
Comunque il rapporto Fao sottolinea che «Il rialzo del Fao Composite Price del the nel 2009 si è tradotto u in una crescita del 7% delle entrate dell'esportazione a livello mondiale, avendo un effetto significativo sui guadagni rurali e la sicurezza alimentare delle famiglie nei Paesi produttori di the».