[08/07/2010] News
LIVORNO. Quando nelle nostre analisi ci soffermiamo sulla enorme differenza tra green economy intesa come un driver dell'economia invece che come riconversione economica dell'economia, a qualcuno può apparire questione di lana caprina. Ma poi sono i fatti a confermare quanto sosteniamo, anche se questo non ci è e non può essere in generale di alcun conforto. L'Istat che porta a compimento un lavoro enorme e fondamentale come la contabilità ambientale del nostro Paese e la manovra economica del governo che la ignora completamente sono un esempio illuminante. Oggi evidente nella lettura del Sole24Ore attraverso appunto la lettura dell'intervento del presidente dell'Istat Enrico Giovannini e della manovra stessa. Di fatto tiene banco il solo debito pubblico e come arginarlo, mentre il debito nei confronti dell'ecosistema non è cosa. Eppure l'analisi di Giovannini è chiara e arriva da un ente statale che lavora (almeno sulla carta) su input del governo: « Misurare la sostenibilità delle condizioni ambientali, sociali ed economiche di un paese è estremamente complesso e molti sono stati i tentativi effettuati negli ultimi dieci anni dagli statistici e dagli economisti per giungere a una misura soddisfacente di tale concetto. D'altra parte, il tema della sostenibilità è sempre più rilevante sul piano politico e quindi la pressione sui sistemi statistici proveniente dalle autorità politiche cresce continuamente». Che sarà pur vero, anche se poi come dicevamo quando i governi fanno il loro mestiere, ovvero parlano attraverso atti, questa pressioni non si sa che fine abbiano fatto. «In termini schematici spiega sempre Giovannini - essere su un sentiero di sviluppo sostenibile implica che la generazione corrente soddisfi i propri bisogni senza intaccare la possibilità che anche la generazione futura possa fare altrettanto. In termini più rigorosi, ciò deve implicare che la generazione futura abbia una dotazione sufficiente di capitale per realizzare i propri obiettivi. In altri termini, poiché è il "capitale" che ogni generazione lascia alla successiva che determina le condizioni di partenza di quest'ultima, la sostenibilità implica un non depauperamento di tale dotazione». Si può ragionevolmente pensare che questa sia una priorità di un governo che tanto per cominciare aveva scritto l'articolo 45 della manovra proprio per ridurre le spesse per le fonti rinnovabili? E che poi lo ha cambiato ma nemmeno poi tanto e soprattutto non ha inserito alcunché di altro per fermare l'erosione delle risorse naturali e quindi del "capitale" naturale? La risposta ovviamente è no, tanto che l'Istat appare così avanti che se si guarda dietro vede il futuro; e la cosa non riguarda solo l'Italia purtroppo. L'Europa tutta che ha perso terreno su questo fondamentale terreno.
I segnali però che nel mondo qualcosa sta cambiando arrivano costanti. Anche in questo momento dove appare schietto schietto che la green economy è vista solo come un aiuto alla ripresa dell'economia e niente più, quando addirittura un "problema" di cui occuparsi a crisi finita. Ed il segnale, in ordine di tempo, a cui alludiamo è quanto scrive Kenneth Rogoff, professore di economia e politiche pubbliche all'Università di Harvard ed ex economista capo dell'Fmi sul Sole di ieri: «La macchia nera del Goffo del Messico sta per diventare un punto di svolta. Se gli uragani estivi spingeranno grandi quantità di petrolio sulle spiagge della Florida e lungo la costa orientale degli Stati Uniti, la bomba politica che scoppierà farà impallidire la reazione alla crisi finanziaria. La rabbia è forte in particolare fra i giovani. Già messia a dura prova dall'altissima disoccupazione, i ventenni ora si stanno rendendo conto che il modello di crescita del loro paese, quello di cui sognano di far parte, in realtà è assolutamente insostenibile, al di là di quello che i loro leader politici gli raccontano. Per ora, forse, questo malcontento non va oltre un po' di humour nero (ad esempio il cameriere di New Orleans che chiede ai clienti se vogliono i gamberi super o senza piombo). Ma la bomba è in arrivo». Detto da un professore di Harvard fa un certo effetto, anche se poi sono i tempi e come questi economisti, piuttosto degli altri, convinceranno la politica. Ma c'è di più.
Perché quello che davvero non si riesce a capire fino in fondo è che oltre alle scelte politiche sbagliate, c'è un governo a-democratico - per non dire quasi dittatoriale - che sta dettando le regole del gioco (sporco): i "pirati" dell'economia finanziaria. Quelli che - come spiega bene un altro pezzo di green report che trovate nel link - ha affamato i popoli del Sud del mondo e ha causato la crisi economica mondiale. Sul tema Giorgio Ruffolo ieri ha ben spiegato la cosa su Repubblica: «Frenare la finanza significa ridurre i debiti, il che è terribilmente difficile sia per lo Stato che deve fronteggiare la reazione politica ai tagli della spesa pubblica, sia per le imprese, una grande parte delle quali contano sul ricorso al credito per chiudere i conti. Ma soprattutto, frenare la finanza significa limitare drasticamente il potere delle banche di creare moneta, come hanno largamente fatto nelle più svariate e dissimulate forme. Finora nessuno ci ha neppure provato. E infine, se anche si riuscisse a ridurre l´indebitamento, dove trovare le risorse per finanziare gli investimenti necessari alla crescita? Temo che la scelta sarebbe quella tra rinunciarvi, accettando un lungo periodo di ristagno (vedi Giappone) o ricavare risorse dalla compressione dei redditi di lavoro e della spesa sociale. Non è ciò che minaccia di verificarsi in Europa?». Così, spiega sempre Ruffolo, «resta la prospettiva più improbabile: quella di riorientare l´economia verso uno sviluppo, come dice Pirani, «ragionevole e compatibile» ecologicamente e finanziariamente. Il che comporta grandi spostamenti nella attuale distribuzione di redditi rispetto a quella attuale, "paurosamente" squilibrata (vedi Scalfari su Repubblica del 23 giugno) e nella riallocazione delle risorse, tra beni privati e beni sociali Ma anche, e soprattutto, un riorientamento etico ». Amare le conclusioni, comprensibili, che però non vogliamo fare nostre «Certo, è possibile. Anzi, è necessario. Ma per chi ha passato tutta la vita a sostenere che questo è il vero problema, è difficile immaginare che il miracolo si compia nella parte che gli resta». Vista la differenza di età, noi speriamo ancora nel miracolo. Soprattutto ora che l'arida statistica dell'Istat ha incontrato finalmente la florida trama della complessità della vita e del futuro che stiamo sfilacciando ogni minuto di più.