[14/07/2010] News
LIVORNO. La crisi economico-finanziaria ci ha spedito alla velocità della luce in una nuova era. Non un viaggio nel tempo passato o futuro, ma proprio in un'altra dimensione. Per questo sconosciuta e paurosa. Come in viaggio sull'astronave Enterprise siamo "all'ultima frontiera". E non è un bel vedere. Non si tratta di fare i catastrofisti, ma di cercare di rimettere le cose al loro posto non solo dal nostro punto di vista ecologico. Se non si capisce che le regole tutte sono saltate e che di fatto siamo di fronte ad un'economia fuori controllo, difficilmente si riuscirà a trovare la strada per uscirne. Non che la vogliamo indicare noi, perché saremmo ingenui oltre che bugiardi a dire che abbiamo la soluzione in tasca. Di certo quando si scoprono analogie tra le analisi di Martin Wolf, commentatore del Fincial Times, e Guido Viale, noto economista protagonista del '68 e di Lotta Continua, qualcosa dovrà significare se poi si incrociano le loro analisi con i fatti di "cronaca" finanziaria.
Dice Wolf in un pezzo apparso oggi sul Sole24Ore intitolato non a caso "I peggiori tre anni della nostra vita" che «L'Occidente non è la potenza che era un tempo; i suoi consumatori, che consumavano grazie al credito, non sono più la fonte di domanda che erano un tempo; il sistema finanziario occidentale non è più la fonte di credito che era un tempo, e l'integrazione delle economie non è più la forza trainante che ha dimostrato di essere negli ultimi trent'anni».
E lo sostiene dopo aver detto a chiare lettere, rifacendosi a quanto affermato da Raghuram Rajan, che lo sviluppo finanziario ha reso il mondo più rischioso. «Sappiamo già che dai terremoti degli ultimi anni le economie occidentali sono uscite danneggiate - scrive Wolf - mentre quelle dei paesi emergenti, in particolare quelli dell'Asia, sono rimaste in piedi. È finito in pezzi anche il prestigio dell'Occidente. Sono almeno due secoli che l'Occidente domina il mondo sul piano economico e intellettuale. Quell'era è finita. Fino a questo momento, i governanti dei Paesi emergenti non gradivano le pretese occidentali ma ne rispettavano la competenza. Non è più così. L'Occidente non sarà più l'unica potenza mondiale. L'ascesa del G-20 riflette nuove realtà di potere e di autorità. Ma non è certo questo l'unico cambiamento nel panorama globale. La crisi ha messo in mostra limiti profondi all'interno delle economie occidentali e nell'economia globale nel suo complesso. Non è detto che riusciremo a evitare altri terremoti».
Forte e chiaro, ma c'è di più visto che Wolf scende anche nell'analisi di quanto tutto questo pesi a livello sociale: «Per me tutto questo è la fine del "patto", cioè dell'assetto del secondo dopoguerra: negli Stati Uniti si fondava sulla piena occupazione e livelli alti di consumi individuali; in Europa, sullo stato sociale. Negli Stati Uniti, l'enorme crescita della disuguaglianza e la stagnazione dei redditi reali ha messo in discussione da tempo questo patto. Il professor Rajan osserva che ‘su ogni dollaro di crescita dei redditi reali generata fra il 1976 e il 2007, 58 centesimi sono andati all'1 per cento più ricco delle famiglie'. È un dato realmente sconvolgente».
Rifacciamo dunque il punto: la crisi finanziaria Usa ha travolto anche l'Europa mentre non ha scalfito più di tanto le nuove potenze mondiali. Si è parlato di crisi del capitalismo e di zuccata che lo stesso aveva battuto contro il muro, ma poi si è creduto (in parte anche noi) che proprio chi questa crisi l'aveva procurata avesse la capacità, come un'araba fenice, di trarsi d'impiccio dalla stessa e di farsi addirittura faro "verde" - in assenza di una governance mondiale - per il resto del mondo occidentale. Con Obama sembrava ad un passo un accordo sul clima, sulla regolamentazione della finanza, sulla riconversione dell'economia verso l'ecologia. Tutto dentro al capitalismo. Ma i risultati sono modesti politicamente, la ripresa per di più è lenta e tutti gli indicatori dicono che i crolli almeno in Europa e in Italia potranno forse riprendere i loro fatturati e i loro utili ma mai i volumi prodotti prima della crisi, e anche nel mondo se la ripresa ci sarà sarà per lungo tempo "jobless" perché l'occidente, come dice Wolf, «non è la potenza che era un tempo».
E dal punto di vista politico, ripetiamo, è zero. Specialmente per quanto riguarda la sostenibilità ambientale e sociale, andata praticamente in soffitta causa crisi, cosa da noi segnalata per tempo e sentenziata persino da Newsweek (A Green Retreat, http://www.newsweekinteractive.org/2010/07/12/a-green-retreat.html?from=rss ) Di fronte a quello che decidono un manipolo di soggetti - magari persino allegrotti - nelle stanze a Wall Street che di fatto con un click spostano miliardi di dollari facendo crollare o salire azioni di un mercato completamente drogato e per niente legato all'economia reale, non c'è governo che possa dire "si fa così o si fa cosà". Se non in uno scenario di pesante "dirigismo" di cui nessuno peraltro parla o men che meno vagheggia.
E' dunque arrivato il tempo della caduta del capitalismo? Non ci crede più nemmeno Viale ed è questo che ci riporta alla tesi iniziale, ovvero che siamo in un'era nuova tutta da scrivere. Viale sostiene infatti che: «un vero e proprio vuoto di pensiero - e di prassi - fa capolino nell'allusione, sempre più vaga, al «superamento del capitalismo». Che cos'è? Una volta si diceva socialismo, comunismo, dittatura del proletariato, rivoluzione. Oggi quelle parole nessuno - o quasi - osa più pronunciarle: non perché manchi il coraggio, come pensa Carla Ravaioli; ma perché non sappiamo più che cosa vogliano dire; o se lo sappiamo, o pensiamo di saperlo, non lo vogliamo più. Uno Stato che pianifichi produzioni e consumi, e magari anche le nostre vite e la nostra morte, non lo desidera più nessuno. Molto spesso, dietro l'invocazione di un maggiore intervento dello Stato, di questo Stato, qui e ora, si nasconde solo la pigrizia mentale di chi ha comunque avallato le briglie sciolte al mercati, perché «non c'è alternativa». Il che probabilmente sta alla base della dismissione di quella che per tutto il secolo scorso era stata la «sinistra».
Così Viale aggiunge: «La società di domani va pensata e costruita giorno per giorno, per tentativi ed errori, senza grandi modelli reali, o immaginari, a cui far riferimento; attrezzandosi, per quanto è possibile, per far fronte a passaggi drammatici e rotture improvvise. Qualcuno dice «decrescita» ed è sicuramente un'idea sensata: i limiti del pianeta, come ci ricorda Carla Ravaioli, sono incontestabili. Ma quando, di fronte alle otto «erre», di Latouche si prospettano problemi concreti, o percorsi da individuare e intraprendere, la sensazione che se ne trae è quella di un vuoto pneumatico. Se è una battaglia culturale - che ovviamente ha anche dei risvolti pratici - contro il feticcio della crescita, ben venga; forse andrebbe condotta con più modestia, cercando di fare i conti con i molti problemi a cui nessuno di noi sa ancora dare una risposta».
E poi la conclusione: «il perno della ricostituzione di uno «spazio pubblico» è la sede costitutiva della politica intesa come autogoverno. La conversione ecologica è interamente affidata a itinerari del genere. Ma la distanza che separa questi sforzi e questi percorsi dall'ideale di una società equa e sostenibile e dalla capacità di condizionare o destituire le sedi da cui oggi si esercita il potere, è com'è ovvio, e con qualche eccezione importante e istruttiva, ancora molto grande. E non può essere colmata solo a parole».
Wolf invece conclude dicendo che: « I leader delle principali economie mondiali, sia avanzate che emergenti, dovranno procedere a riforme comuni e profonde se non vogliono che l'economia mondiale vada incontro ad altri terremoti negli anni a venire». Siamo alle parole, è vero, ma oltre il capitalismo, dunque, c'è ancora il capitalismo, ma soprattutto una società che deve ritrovarsi e ripensarsi in un'era nuova. E' la più grande sfida che attende l'umanità, ma per affrontarla bisogna capire dove siamo.