[15/07/2010] News
ROMA . Gli Amici della Terra «Accolgono con favore la proposta lanciata oggi dal presidente dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas (Aeeg) Ortis, in occasione della presentazione della relazione annuale, di attribuire all'Autorità poteri di regolazione e verifica su tutti i meccanismi di incentivazione delle rinnovabili che comportano maggiori oneri nelle bollette dei consumatori, in coerenza con gli obiettivi energetici stabiliti dal Governo e dal Parlamento». Secondo Rosa Filippini, presidente degli Amici della Terra, «La recente approvazione dei nuovi cospicui incentivi per il fotovoltaico in un contesto di sacrifici per molte tecnologie, altrettanto promettenti, della green economy conferma la necessità di una regia nei meccanismi di incentivazione. La strategia al 2020 avviata tre anni fa dall'Europa richiede una grande capacità di integrazione delle politiche su clima, rinnovabili ed efficienza energetica, all'insegna del risparmio per i consumatori, della prevenzione paesaggistica e ambientale, e di un effettivo dispiegamento delle opportunità industriali e occupazionali associate agli obiettivi europei. Per le sue funzioni già svolte e per la capacità dimostrata sul campo, l'Aeeg è il soggetto più idoneo per stabilire la congruità e coerenza dei diversi meccanismi di incentivazione. Per una riforma davvero integrata, occorre che questa regia non riguardi solo i meccanismi di incentivazione delle rinnovabili, ma sia estesa anche a quelli per l'efficienza energetica, spesso assai più convenienti per i consumatori. Occorre, inoltre, che si tenga conto non solo degli oneri che ricadono sulle bollette, ma anche dei costi esterni ambientali che ricadono sulla collettività».
Al responsabile energia di Legambiente Edoardo Zanchini invece le dichiarazioni di Ortis non sono piaciute molto: «Nell'allarme lanciato questa mattina dal presidente dell'Autorità per l'energia elettrica e gas nei confronti di un possibile aumento al 2020 del costo in bolletta per i cittadini causato dalle fonti rinnovabili è possibile scorgere una autentica ossessione nei confronti di questo tipo di impianti. E' quanto mai curioso, infatti, dichiarare oggi con tanta enfasi una preoccupazione del genere quando per anni sono stati regalati in Italia, nel più completo silenzio, oltre 30 miliardi di euro ai petrolieri e ai raffinatori grazie agli incentivi agli impianti Cip6. Incentivi che ancora oggi pesano circa due miliardi di euro ogni anno in bolletta. Per non dimenticare i 400 milioni che paghiamo ancora ogni anno per lo smaltimento delle vecchie centrali nucleare, o le tante altre voci di spesa che non c'entrano nulla con l'energia e che pesano - queste sì in maniera ingiusta ma sempre sotto silenzio - sulle tasche dei cittadini. Le preoccupazioni di Ortis risultano inoltre sovradimensionate rispetto alla previsione al 2020, perché evidentemente il presidente dell'Autorità non ha tenuto conto della riduzione degli incentivi per il Fotovoltaico appena entrata in vigore e della discussione in corso sui Certificati Verdi. Piuttosto che lanciare allarmi sarebbe più utile occuparsi dei veri problemi e degli inutili balzelli che si nascondono nelle bollette dei cittadini».
Per Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del Wwf Italia: «Porre un tetto alle emissioni di anidride carbonica è essenziale per attuare delle politiche energetiche e industriali che diano impulso all'innovazione industriale. Lo hanno capito tre Paesi Europei di peso (Francia, Germania e Regno Unito), guidati da conservatori, che proprio oggi hanno chiesto l'innalzamento dell'obiettivo di riduzione delle emissioni a -30% entro il 2020. Ci pare che il presidente dell'Autorità per l'Energia, Alessandro Ortis, sia andato oltre i propri compiti istituzionali, proponendo una visione vecchia e confondendo una delle possibili misure attuative (il contenuto di CO2 per prodotto) con l'obiettivo. Tutto ciò nel solito balletto di responsabilità tra il settore energetico e quelli manifatturieri, e nell'illusione che colpire i prodotti provenienti da altri paesi non riguardi l'industria italiana globalizzata, quando è chiaro che nel mondo decarbonizzato del futuro le misure dovranno riguardare tutti i settori, a partire certamente da quello che direttamente brucia combustibili fossili, quello energetico».
«Si sono sprecati anni e anni in questo rimpallo istituzionale, contestando le norme europee invece di applicarle, e non vediamo perché il Presidente dell'Autorità abbia voluto proporre una concezione così vecchia», sottolinea Midulla.
L'attuale obiettivo di riduzione delle emissioni del 20% entro il 2020, alla luce del trend attuale di riduzione a livello europeo, è sottostimato rispetto alle potenzialità e costringerebbe l'Europa a fermarsi, con il grave rischio di riprendere l'ascesa delle emissioni inquinanti una volta attenuata la crisi economica e di perdere l'occasione di imprimere una forte spinta di politica industriale verso la nuova economia pulita. Mentre a livello mondiale gli investimenti pubblici e privati verso la green economy si moltiplicano, anche quale strumento di uscita dalla crisi e con la finalità di raggiungere la sicurezza energetica, l'Europa non può permettersi di abbandonare la politica su cui ha fondato la propria azione negli ultimi 10 anni proprio ora che sta decollando a livello mondiale.
La richiesta degli ambientalisti di portare l'obiettivo europeo di riduzione delle emissioni come minimo al meno 30% entro il 2020, dunque, nasce da considerazioni che vanno anche oltre i negoziati internazionali per un nuovo accordo sul clima, pur nascendo dalla convinzione che un recupero di leadership europea gioverebbe a un successo in sede multilaterale.
Secondo i calcoli del Potsdam Institute, l'attuale target di riduzione del 20% entro il 2020 equivarrebbe a un -0,45% di riduzione l'anno, al di sotto del trend di riduzione storica dello 0,6% l'anno dal 1980. In altre parole, l'Europa dovrebbe decelerare o addirittura fermarsi.
Questa situazione è pericolosa sotto almeno due punti di vista, uno ambientale e l'altro economico. Dal punto di vista ambientale, una riduzione dello sforzo di riduzione in presenza di un rallentamento produttivo dei settori energivori (come l'acciaio) implica che una volta terminati gli effetti della crisi economica le emissioni ricominceranno a salire. Dal punto di vista economico, il fatto che le emissioni calino per loro conto, e non grazie a investimenti, cambiamento dei modelli di consumo e innovazione tecnologica, rischia di far perdere all'Europa, e ai singoli Stati, una grande occasione e costituire uno svantaggio in termini di competitività a livello internazionale.