[21/07/2010] News
LIVORNO. Il rapporto "Economic Survey of South Africa 2010" dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse) invita il Sudafrica ad introdurre una carbon tax ed altre tasse per proteggere meglio l'ambiente.
Anche se il Sudafrica, come hanno dimostrato anche le immagini delle sue città e delle sue periferie che arrivavano dai mondiali di calcio, è un Paese in via di sviluppo, le sue emissioni di gas serra non sono certo trascurabili, anche a livello pro-capite: l'International energy agency (Iea) ha messo il Sudafrica al diciottesimo posto nella classifica mondiale dei Paesi maggiori emettitori di CO2, davanti a Paesi certo più piccoli, ma molto più ricchi e sviluppati come Spagna ed Olanda. Ogni sudafricano emetterebbe almeno 11 milioni di tonnellate di CO2, per questo il rapporto Ocse propone al governo di Tshwane/Pretoria di adottare subito iniziative per contrastare il cambiamento climatico e migliorare la qualità dell'aria che non è certo buona, visto la dipendenza del Paese dal carbone e l'inquinamento diffuso nelle grandi città.
Il governo sudafricano, che aderisce al gruppo Basic (Brasile, Sudafrica, India, Cina) che ha pesantemente condizionato con un accordo con gli Usa i magri risultati del summit Unfccc di Copenhagen, ha preso un "impegno condizionato" per la riduzione dei gas serra, con un taglio del 34% entro il 2020 e del 42% entro il 2025.
Il rapporto Ocse spiega che «Il Sudafrica si classifica generalmente ad un livello abbastanza mediocre negli indicatori generali dello stato dell'ambiente, soprattutto per quel che riguarda le emissioni di gas serra. Questo deriva dalla sua struttura industriale e dalla sua dipendenza massiccia riguardo al carbone per la produzione di elettricità. Cosciente della necessità di andare Avanti nella lotta contro il cambiamento climatico, il governo non ha ancora preso delle misure concrete per tariffare il carbonio o per stimolare lo sviluppo delle energie rinnovabili. Dei sovra-costi, dei prezzi dell'energia favorevoli ad alcuni grandi utilizzatori industriali, delle tariffe elettriche che non coprono i costi in capitale della realizzazione di nuova potenza energetica e il basso prezzo di acquisto del carbone per i produttori di elettricità dominanti, tendono sia ad ostacolare l'efficienza economica, sia ad aggravare le emissioni di carbonio. L'urgenza del problema a livello mondiale, il fatto che il Sudafrica sia un emettitore relativamente importante e la lentezza dei progressi fin qui fatti, sono altrettanti fattori che vanno a favore di una intensificazione degli sforzi per attenuare le emissioni. Una iniziativa forte consisterebbe nell'adottare delle tariffe elettriche che coprano integralmente I costi a lungo termine, senza sovvenzioni per I clienti industriali. Inoltre, si potrebbe istituire una carbon tax, ricorrere più ampiamente ad altre ecotasse e accelerare lo sviluppo dei progetti delle energie rinnovabili e di Carbon capture and storage». Tutto bene ma due cose non convincono: perché il Sudafrica dovrebbe introdurre una carbon tax che Paesi Ocse più ricchi e industrializzati (vedi Italia) rifiutano di introdurre e dove, in un panorama energetico segnato da scarsità di investimenti, prenderà i soldi necessari per avviare la sperimentazione di costosi progetti pilota di Ccs.
Forse l'Ocse pensa a quel che suggerisce in un altro capitolo dell' Economic Survey of South Africa 2010: «Un certo numero di altri Paesi ricchi di risorse naturali hanno scelto di creare dei fondi di materie prime per proteggere meglio il loro bilancio e la loro economia dalle fluttuazioni dei prezzi di questi prodotti. Modulare l'ammontare degli apporti netti a questi fondi in funzione dei prezzi dei prodotti di base permette di ridurre le pressioni miranti a dispensare i guadagni eccezionale quando le quotazioni sono elevate e di disporre di una fonte di finanziamento di bilancio supplementare quando le quotazioni sono in calo. Inoltre, degli investimenti in attività estere potrebbero neutralizzare in parte la pressione per un apprezzamento reale della moneta quando il prezzi dei prodotti di base esportati sono elevati».
La soluzione proposta dall'Ocse sembra una via di mezzo tra quella socialdemocratica del petrolio e del gas norvegese e quella dei fondi sovrani del comunismo-capitalismo cinese, ma il rapporto ammette che «La situazione del Sudafrica è meno semplice di quella di altri Paesi, perché le entrate fiscali dirette legate alle industrie estrattive sono anormalmente basse rispetto alla dimensione del settore e queste entrate provengono da un certo numero di prodotti di base. Tuttavia, potrebbe essere che, nel contesto di uno sforzo accresciuto per controllare e tassare le rendite economiche dell'estrazione di risorse naturali, bisognerà prendere in considerazione di nuovo un meccanismo che permetta di risparmiare i guadagni eccezionali legati ai prezzi dei prodotti di base».