[14/08/2009] News
LIVORNO. La Germania, come la Francia, si presenta nel secondo trimestre con un pil in positivo dopo mesi di segni meno e comincia a vedere la luce alla fine del tunnel della recessione.
Troppo poco un +0,3% di pil per parlare di fine della recessione, secondo l'autorevole voce dell'economista francese Jean Paul Fitoussì secondo il quale «non è certo a una cifra trimestrale puramente contabile che bisogna guardare. Il vero indicatore è la disoccupazione, e questa è disastrosa, in Europa come in America».
Una valutazione in linea con quanto sostenuto dal presidente degli Usa Barack Obama, che non indulge a facili speranze, che potrebbero derivare dall'andamento del pil americano sceso solo dell'1% nell'ultimo trimestre contro i valori sino a meno 6% dei trimestri precedenti, quando dice che «la ripresa non è reale finché si continua a licenziare» cui fa da contraltare la previsione della Federal Reserve che «ci vorrà un intero decennio per tornare a un livello di occupazione pre-crisi».
Fitoussì avverte anche che «si stanno ripetendo gli stessi errori che hanno portato alla crisi: squilibri mondiali, disavanzo di bilancio americano, surplus della Cina, e via dicendo». Cui si possono aggiungere i tentativi di ritorno alla finanziarizzazione dell'economia e agli approcci speculativi che si prospettano in questi giorni, la mancanza di una ricerca effettiva di una governance globale in grado di indicare regole univoche e di chi potrebbe esercitarla, oltre alla carenza di politiche in grado di cambiare il paradigma del vecchio modello di sviluppo energivoro, dissipatore di materie prime e non garante di una equa distribuzione delle risorse tra le varie aree del pianeta.
Qualche segnale tra le nebbie comincia ad intravedersi e più volte lo abbiamo evidenziato, nella politica della nuova amministrazione statunitense che punta ad un green new deal, come nei piani anticrisi, e non solo, di paesi come Francia e Germania che provano a discostarsi da politiche vecchio stile come quella adoperata nel nostro paese e che cercano di cogliere l'opportunità della crisi per proseguire la strada verso un nuovo modello di sviluppo in parte già intrapresa. Anche se è presto per poter dire che questa strada è stata definitivamente imboccata.
Tra questi segnali si può includere (quanto meno per la sua capacità evocativa di cambio di paradigma) l'annuncio che per il ventesimo anniversario della caduta del Muro di Berlino potrebbe tornare a circolare, la Trabant, storica auto dell'epoca Ddr, ma in versione ecologica. La due tempi della VEB Sachsenring automobilwerke zwickau con caratteristiche tanto spartane quanto inquinanti e che in pochi potevano permettersi (con una lunga attesa anche di 12 anni) prodotta sin dagli anni 50 nella Repubblica democratica tedesca e per un anno anche dopo la caduta del muro, si candida adesso a divenire l'auto del futuro per la Germania unificata. Un prototipo dal look "più moderno" e con alimentazione elettrica denominato "Trabant nT" sarà presentato al Salone automobilistico di Francoforte il prossimo mese. E secondo quanto scrive oggi l'Independent Indycar - un'azienda privata che ha sviluppato il nuovo veicolo- tenterà di attirare investitori per lanciare una produzione di massa del suo modello.
«Sarà un'auto semplice, pratica, in linea con la tradizione. Ma dotata delle tecnologie più avanzate e completamente elettrica» ha dichiarato il portavoce della Indycar, Jurgen Schnell.
Un segnale che il passato si può leggere con un nuovo sguardo e che non sarà certo risolutivo né per lo sviluppo sostenibile (comunque sempre automobili sono) né per l'occupazione che potrà produrre. Ma a volte sono i piccoli segnali che fanno la differenza.